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La discriminazione territoriale e il calcio burlone

LA GAZZETTA DELLO SPORT (R. Palombo) – Sarebbe necessario, a questo punto, che qualcuno spiegasse dove finiscono gli sfottò e dove comincia la discriminazione territoriale…

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PIOLA 8 MAGLIETTA CELEBRATIVA LOTITO ABETE

RASSEGNA STAMPA SS LAZIO – È un calcio burlone – analizza ‘La Gazzetta dello Sport’ –  e questo vale per tutti: dai tifosi al ministro dello Sport Delrio che ieri ha detto: «Problema limitato a poche centinaia di persone. Pugno duro verso quanti vanno allo stadio pensando di essere in una zona franca. Contestualmente non bisogna criminalizzare qualche coro ironico o di sbeffeggiamento, le due cose sono molto differenti», ma non spiega quali siano i confini del “coro ironico o di sbeffeggiament0”. Questi, per i tifosi, hanno una spiegazione chiara: tutti e quelli che non sono razzisti. Per cui tra sfottò e cori estremi non esiste confine. È un burlone anche PLATINI, che sta cercando di mettere un freno a questo fenomeno, che poi dice di non sapere cosa significhi “discriminazione territoriale”, dimenticando che appena una settimana prima proprio la sua Uefa, i cui paletti sono rigidissimi e includono pure le sconfitte a tavolino e le penalizzazioni, ha chiuso lo stadio della recidiva Lazio in Europa League causa due striscioni contro l’Uefa e uno  dedicato a quelli del Legia Varsavia. Striscione che rientra perfettamente nella casistica della discriminazione territoriale, che nasce da quella etnica. Sono burloni quelli della Federazione  e dunque inclusi i consiglieri federali della Serie A che oggi strepitano o, è il caso di Lotito, fanno invasione di campo presso la Corte di Giustizia federale che ospita il ricorso del Milan. Ma ad agosto il nuovo dettato Uefa lo hanno sottoscritto per intero ma senza porsi una riflessione su come funzionano le cose in Italia e sui rischi che si corrono ad essere tanto rigidi. E infatti due mesi dopo dovranno correggere il tiro. E’ un burlone Beretta, che invia alla Federcalcio una lettera per rivedere la norma. E lo è  pure Malagò, che parte duro e puro e arriva invocando il buonsenso e la mediazione perché le norme sono troppo rigide. Ma nessuno spiega dove finiscono gli sfottò e dove comincia la discriminazione territoriale. Serve uniformità di udito da parte dei collaboratori della Procura federale inviati sui campi, servono norme sanzionatorie  ripensate cum grano salis. Serve che la sospensiva della Corte di Giustizia federale che ha riaperto le porte di Milan Udinese non sia raccontata come la vittoria delle curve. Infine è necessario  che gli ultrà, anziché ritenere gli stadi roba loro, accettassero il principio che sono anche roba nostra.

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