COPPA ITALIA
CANDREVA si racconta: “Il 26 maggio lo ricorderò per sempre. Voglio portare la LAZIO in Champions e rimanere qui a lungo, anche se…”
Il centrocampista ripercorre la sua carriera e parla anche di Nazionale: “Prima di fare il cucchiaio a Casillas mi consultai con Federico, Gigi ed Andrea; ad Iniesta ruberei…”
NOTIZIE SS LAZIO- Antonio Candreva e la Lazio: una storia complicata, almeno all’inizio, all’arrivo del centrocampista in biancoceleste, quando era accusato di essere romanista. Lui smentiva, prima a parole, poi sul campo, diventando l‘idolo della Curva Nord e il giocatore più importante della Lazio. Candreva si racconta alla trasmissione di Sky Sport ‘Saranno i signori (del calcio)’, ripercorrendo la sua carriera, da Tor de Cenci alla Nazionale.
“Sono partito da il quartiere di Tor De Cenci, dove vivono ancora i miei genitori. Ho fatto i miei primi passi con il pallone, poi sono passato nel settore giovanile della Lodigiani. Ho fatto una grandissima esperienza li, ho conosciuto dei ragazzi che ancora oggi sono i miei migliori amici. Poi sono passato alla Ternana. I primi mesi sono stati difficili perché a 14 anni sono andato via da casa. Poi mi ha comprato l’Udinese, e non è stato un anno felicissimo, ho giocato pochissimo. In quella stagione nell’Udinese giocavano tanti campioni e hanno raggiunto traguardi importanti. Di Natale? E’ un grande giocatore, penso che è uno degli attaccanti più completi in circolazione. Livorno è stata un’esperienza positiva, ho vinto il mio primo campionato con la promozione in Serie A. È stata un’emozione bellissima. Quando siamo saliti in serie A ho chiesto all’Udinese se mi lasciava un altro anno a Livorno. Mi trovavo bene e sentivo la fiducia dell’ambiente. Era il mio primo anno di Serie A e lo volevo fare con quella maglia. Quando sono passato alla Juve non me lo aspettavo neanche io, dopo solo pochi mesi di campionato e 15 partite è stata una sorpresa anche per me. Diciamo una chiamata inaspettata”. Poi anche la chiamata in azzurro, condita dai complimenti di Alex Del Piero: “Anche la chiamata in Nazionale è stata inaspettata, anche li avevo pochi mesi in serie A, il mister (Lippi, ndr) mi disse che non mi conosceva, ma che lo avevo messo in difficoltà. Voleva vedere come mi comportavo con la Nazionale maggiore. Del Piero è una grandissima persona. Era il primo ad arrivare al campo e forse uno degli ultimi ad andare via. Non saltava un allenamento ed era sempre presente, aveva voglia di allenarsi. La Juve è un top club e quando indossi quella maglia hai la voglia di esprimerti sempre a massimi livelli. Quando giochi a Torino c’è solo un risultato: la vittoria. Ricordo che i primi giorni arrivò Cannavaro e mi vide un po’ debole fisicamente. Mi disse che mi aspettava in palestra (ride, ndr). Non è stato un anno facile, forse è stato il primo anno dove la Juventus è stata contestata e non abbiamo fatto una bella annata. E veramente strano vedere la Juve che chiude al settimo posto. Le persone che mi avevano preso a gennaio andarono via e la nuova dirigenza fece altre scelte, ma non sono arrabbiato. Sono ripartito dal Parma con un po’ di delusione e rammarico, arrivai l’ultimo giorno del mercato estivo. Ho fatto questa scelta e comunque la rifarei. Ero un ragazzo giovane e volevo fare questa nuova esperienza. A Cesena invece sono stati mesi difficili. La società aveva comprato tanti giocatori di livello, come Guana e Parolo. Però purtroppo siamo partiti male e abbiamo avuto delle difficoltà, poi nel mercato invernale sono passato alla Lazio. Era l’ultimo giorno di calciomercato, sono partito con il Cesena per la trasferta di Napoli e non pensavo che andassi via. Ma quando arrivai a Napoli in albergo mi chiamarono i miei agenti e mi dissero che avevano chiuso con la Lazio. Mi preparano subito il viaggio e la sera arrivai a Roma”. Gli inizi alla Lazio non furono dei più semplici. “Sono approdato in una grandissima squadra, che in quel periodo lottava per il secondo-terzo posto. Il giorno dopo entrai in campo contro il Milan all’Olimpico e ci furono solo fischi per me. I motivi di questi fischi è che quando giocavo a Livorno feci un’intervista e mi chiesero quali giocatori della Roma mi piacevano e chi ci poteva mettere in difficoltà. Risposi Totti e De Rossi che sono due grandi campioni. Ho passato mesi difficili, non sentivo la fiducia dell’ambiente, ma avevo quella dell’allenatore e del gruppo, mi davano dei consigli per farmi stare sereno. Purtroppo non mi è scattata quella molla. Poi il 7 aprile c’è stata la partita all’Olimpico contro il Napoli, per me era la partita del dentro o fuori. Dopo otto minuti feci gol e corsi sotto la Curva Nord. Quell’esultanza per me fu una liberazione, volevo essere me stesso. Non volevo andare via dalla Lazio senza dimostrare le mie qualità. Non era una rivincita contro i tifosi, io non avevo niente contro nessuno. È stata una corsa istintiva che ho fatto con il cuore per abbracciare il tifo più importante che è la Curva”. Poi è arrivato anche il momento del primo derby.“Anche il mio primo derby è stato difficile, era una partita importante per la città. È stata una gioia unica giocare il primo derby e segnare subito il primo gol. Perdevamo 1-0, poi pareggiammo con il mio gol e alla fine vincemmo”. Poi il 26 maggio il derby più importante, quello della storia. “La vittoria della Coppa Italia la ricorderò per tutta la vita, è il trofeo più importante della mia carriera. Era una partita importante per la città. Calcisticamente è stata una brutta partita, ma l’abbiamo vinta noi ed è stata una gioia immensa. La ricorderò per sempre. Quando arrivai alla Lazio Reja mi mise a fare l’esterno e ancora oggi ricopro questo ruolo. Mentre in altre squadre ho ricoperto diversi ruoli. Con l’arrivo di Petkovic ho continuato in questa direzione. La Lazio mi ha dato fiducia e ringrazio tutti. Sentire la fiducia dell’ambiente è importantissimo”. Candreva ora è un punto fermo della nazionale azzurra che andrà ai mondiali in Brasile tra qualche mese. “L’esperienza della Confederations Cup è stata positiva, siamo stati sfortunati ad uscire contro la Spagna ai rigori. Nella lista dei rigoristi ero il primo ed ero partito con l’idea di fare il cucchiaio, però, aspettavo il via da qualche compagno. Andai da Marchetti e mi disse di fare quello che mi sentivo di fare. Poi chiesi anche da Pirlo, Giovinco e Buffon, e anche Gigi mi disse di stare tranquillo e di fare quello che mi sentivo in quel momento. Ancora oggi mi piace fare assist per i compagni. Vedere Iniesta dal campo è qualcosa di veramente grande. È un giocatore intelligente che gioca semplice, ma può mettere in difficoltà tutta la squadra. Ad Iniesta ruberei la semplicità di giocare a calcio”. Sul futuro: “Vorrei portare la Lazio in Champions, è un obiettivo che la società sta provando a raggiungere da diversi anni. E mi piacerebbe anche partecipare al Mondiale in Brasile. Oggi io mi trovo alla Lazio, sono contento e spero di restarci a lungo, però, sarebbe bello un giorno giocare in un grande club. Il mio sogno da bambino? Tra pochi mesi c’è il Mondiale e spero di esserci. Magari anche di vincerlo…”.
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