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Pulici: “Tutti i giorni erano botte, fu un miracolo”

IL FATTO QUOTIDIANO (M.Pagani). Il portiere del primo scudetto racconta: “Ci picchiavamo durante gli allenamenti perché ognuno voleva essere più bravo dell’altro”…

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RASSEGNA STAMPA SS LAZIO – Nell’anno del primo scudetto a difendere i pali c’era Felice PULICI, un ragazzone venuto dal Nord dopo le esperienze a Lecco e Novara. L’anno prima, a Novara, ero stato il portiere più battuto della serie B. A Roma mi sentivo di passaggio. Dopo il mercato estivo scrissi a mia moglie. Una lettera, la prima della mia vita, per consigliarle di portare a Sud un bagaglio leggero. Ero convinto che mi avrebbero venduto, si apre così la sua intervista a Il Fatto Quotidiano (M.Pagani), dove l’ex portiere e dirigente biancoceleste ricorda le emozioni di quello storico scudetto: “È rimasto tutto. La memoria è selettiva. È un affare strano. Ci sono cose che non si possono dimenticare. Mi ricordo come se fosse oggi l’odore dei mobili della Pensione Paisiello dove finii a dormire all’inizio della mia avventura e il giorno dello scudetto. Rientro faticosamente nella pancia dello stadio e mi dicono che è nato mio figlio Gabriele. Scoppio a piangere e corro a vestirmi per raggiungere mia moglie. Quella domenica, Gigi Martini si era rotto la clavicola. Da tempo, per ragioni scaramantiche, ci scambiavamo gli armadietti e nella corsa all’Ospedale San Giacomo, gli infermieri avevano preso le mie scarpe al posto delle sue. Roma era nel delirio, così, vedendomi perduto, salii sull’ultima ambulanza disponibile e puntai il San Giacomo. Sostituii i mocassini e incontrai Ziaco, il medico sociale: ‘Che bravo ragazzo che sei, Felice. Sei l’unico che sia venuto a salutare Gigi, ti fa onore’”. Di seguito i passaggi più significativi dell’intervista:

Lo scudetto fu un miracolo. Nello spogliatoio eravate divisi in due fazioni.
C’era competizione e umanamente il gruppo aveva molte anime, ma Maestrelli sul punto era stato chiaro: “Quella Lazio non mi hai messo in difficoltà”. Ci picchiavamo durante gli allenamenti perché ognuno voleva essere più bravo dell’altro. La vera partita, quella che contava, veniva giocata durante la settimana. Erano botte serie.

Quell’anno lei fu il portiere meno battuto della serie A.
Il portiere tappa i buchi. Il nostro non rappresentò uno scudetto preparato, ma fu un’assoluta sorpresa. Giovavamo un calcio bellissimo, a tutto campo, antitetico al verbo di Rocco o di Trapattoni e anticipatorio della sinfonia che l’Olanda suonò tra gli applausi ai Mondiali del ’74.

Pulici, il portiere senza guanti.
Non servivano a nulla, quando pioveva li compravo di lana. All’Upim. Neri. Costavano mille lire Con il campo pesante erano perfetti. E perfetta era anche quella Lazio. Nonostante i caratteri era un gruppo unito. Direi coeso se il termine non fosse stato già appaltato da Lotito. Lenzini era un presidente diverso. Un padre. Un fenomeno. Prevedeva una cosa e quella, per magia, si avverava. “Sarete Campioni d’Italia”. Aveva ragione.

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