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Inzaghi, il “camaleonte”. Storia di un’evoluzione continua
APPROFONDIMENTO LAZIO INZAGHI – Si è preso la Lazio con umiltà, inserendosi con la massima calma, senza strafare, mostrandosi per quello che…
APPROFONDIMENTO LAZIO INZAGHI – Si è preso la Lazio con umiltà, inserendosi con la massima calma, senza strafare, mostrandosi per quello che è, e cioè un allenatore moderno, non vincolato rigidamente al suo credo tattico. Da quando si è inserito a Formello, Simone Inzaghi si è evoluto insieme alla sua creatura, fondendosi con essa e creando un’alchimia invidiata da mezza Europa.
IL 4-3-3 – Il tecnico piacentino è stato, sin dagli albori della sua carriera da allenatore, un cultore del modulo 4-3-3, utilizzato sia nella sua avventura con la Primavera biancoceleste, sia nella primissima esperienza in prima squadra, nelle ultime sette giornate della stagione 2015-2016. Trovò, all’epoca, una situazione complicata lasciatagli in eredità da Pioli e la prima preoccupazione fu quella di conferire equilibrio alla fase difensiva: a farne le spese fu Milinkovic-Savic, cui preferì Onazi, molto più dinamico in fase di non possesso. In fondo, nel pacchetto arretrato, si alternavano Gentiletti e Bisevac…
LA PRIMA EVOLUZIONE – La scorsa stagione, invece, è stata quella della svolta. Ancora 4-3-3 per quasi tutta la prima parte, nonostante un Keita inizialmente fuori rosa. Ma Inzaghi ha saputo fare di necessità virtù, preparando gradualmente la sua Lazio alla prima grande mutazione tattica: il passaggio dalla difesa a quattro a quella a tre. Da metà febbraio 2017, escluse sporadiche occasioni, il 3-5-2 è così diventato il modulo di riferimento, grazie soprattutto all’abnegazione di Felipe Anderson, sacrificato come esterno destro a tutto campo. Nel 2016-2017, la Lazio è scesa in campo ben 21 volte con il 3-5-2, più una col 3-5-1-1 (nel ritorno della semifinale di Coppa Italia con la Roma) ed una col 3-4-3 (primo esperimento del terzetto difensivo) contro la Juventus alla seconda giornata. Il 4-3-3 è stato invece utilizzato con continuità per tutto il girone d’andata, mostrando tuttavia alcuni limiti che, sapientemente, non sono stati ignorati.
L’INTUIZIONE – Quest’anno, poi, il 3-5-2 ha vissuto l’ennesima trasformazione: la “scoperta” Luis Alberto è stata troppo grande per essere ignorata ed Inzaghi ha avuto la maestrale abilità di sapersi reinventare sarto, cucendo un abito che, a questa Lazio, calza a pennello: 3-5-1-1 e 3-4-2-1, alternati, intercambiabili, a seconda della fase di possesso e non, dove lo spagnolo e Milinkovic rivestono il fondamentale ruolo di rifinitori per Immobile. Il serbo combatte in ripiegamento ed appoggia l’ex Liverpool, lasciato invece libero di inventare. Lo sporadico utilizzo di Nani e la carta Palombi giocata, senza successo, all’esordio con la Spal, hanno permesso di sfoggiare il 3-5-2 nel senso canonico del termine in quattro occasioni stagionali, statisticamente irrilevanti.
NOVITA’ IN VISTA? – Il grande interrogativo riguarda, ora, il rientro di Anderson: Inzaghi ci sta pensando, lavorando alacremente per trovare la giusta soluzione, senza rinunciare all’estro del brasiliano, ma senza neanche sacrificare Luis Alberto e Milinkovic. Scartata l’opzione esterno destro al posto di Marusic (Anderson è stato categorico su questo), le opzioni, al momento, sono due: ritorno al 3-5-2 (con Anderson a ridosso di Immobile e Luis Alberto in cabina di regia), ma il sacrificio di Leiva non sembra una strada percorribile; il 3-4-2-1, con Milinkovic nei due di centrocampo ed il duetto iberico-carioca a sfornare fantasia in quantità industriali sulla trequarti: in questo caso, sarebbe Parolo a sedersi in panchina. Inzaghi è in vacanza, ma non la sua testa. La Lazio camaleontica è pronta ad una nuova evoluzione. Per la volata finale, c’è un nuovo step da affrontare ed una nuova scommessa da vincere.
Giordano Grassi
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