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Quando GHIRELLI raccontava PIOLA
CORRIERE DELLO SPORT. La lettera inviata dal maestro Antonio Ghirelli, scomparso un anno e mezzo fa, a Paola Piola, figlia del più grande bomber di tutti i tempi…
RASSEGNA STAMPA SS LAZIO- In occasione delle celebrazioni per il centenario della nascita del mito azzurro Silvio Piola, la figlia Paola ha donato al ‘Corriere dello Sport’ una lettera inviatale nel 2005 da Antonio Ghirelli, maestro di giornalismo, ex direttore del giornale dal 1966 al 1972, scomparso il 1° aprile del 2012. Nato nel 1922, prima di diventare giornalista e scrittore affermato e personaggio di spicco della cultura italiana (fu anche capoufficio stampa del presidente Pertini), Ghirelli aveva visto giocare il giovanissimo Piola, seguendone poi tutta la carriera. Ecco il suo articolo, scritto rigorosamente con la “lettera 22”…
“Nella mia vita, nella mia carriera, ho avuto due grandi appuntamenti con Silvio. Il primo, verso la metà degli Anni Trenta, a Napoli: ero ancora un ragazzo, frequentavo il ginnasio e non ero mai andato a vedere una partita di serie A allo stadio, anche se giocavo a pallone, ogni volta che era possibile, magari con una palletta di stracci, insieme ai miei compagni di scuola nella Villa Comunale, due passi dal mare di via Caracciolo.
Un giorno fummo raggiunti da una voce che in pochissimo tempo diventò per i tifosi napoletani una specie di leggenda metropolitana: la domenica, il Napoli aveva incontrato la Pro Vercelli ma il nostro bravissimo portiere Bepi Cavanna era uscito dal campo furibondo perché aveva incassato ben tre reti dal centravanti piemontese, un giovanotto sì e no diciottenne, che tra l’altro era suo nipote, un certo Silvio Piola. Noi, naturalmente, tifavamo per gli azzurri ma ci eravamo divertiti moltissimo ad immaginare la scena del “cit” che beffa tre volte lo zio.
Dopo quella volta, abbiamo avuto tutto il tempo di capire che non si era trattato di un episodio isolato o casuale, e che quel nipotino aveva ancora più stoffa del suo anziano parente. Ma, come dicevo, la vita aveva in serbo per me un altro rendez-vous importante, a una ventina di anni di distanza, con il campionissimo vercellese e proprio nell’occasione in cui, da cronista sportivo come ero diventato in tutto quel tempo, avrei assistito alla partita di addio alla Nazionale di Silvio.
Credo che sia stato l’unico calciatore italiano a indossare la maglia azzurra a 40 anni, prima di Dino Zoff. Come tutti sanno fu il 18 maggio del 1952, a Firenze, in un confronto con l’Inghilterra; la nostra bestia nera che non eravamo mai riusciti a battere: non ci riuscimmo nemmeno quella volta, perché chiudemmo con un pari (1-1), grazie a un gol di Amadei che giocò mezzo sinistro, lasciando il posto a Piola. Fu la sua partita di addio, la presenza numero 34 in Nazionale, che l’asso vercellese onorò con un commovente lavoro di raccordo alla Hidegkuti, lui che nelle formazioni dei cadetti e dei moschettieri aveva segnato 41 reti. Per non parlare dello straordinario record (conquistato decenni prima di Sivori) di ben 6 gol messi a segno in una sola gara di campionato, per l’esattezza nella settima giornata della stagione 1933-34; oltre ai due successi nella classifica dei cannonieri 1937 e 1943.
Aveva esordito in serie A, nelle file della Pro Vercelli, alla verde età di 16 anni, confortato dalla splendida tradizione del club, sette volte campione d’Italia prima dell’avvento del girone unico nazionale. Esploso come il centravanti più travolgente del torneo, nell’estate del 1934 era passato alla Lazio contibuendo involontariamente alla retrocessione dei “bianchi” che divenne inevitabile, soprattutto per la sua cessione, l’estate dopo. Nel marzo di quell’anno, il neo-laziale aveva debuttato nelle file azzurre, firmando le due reti del clamoroso successo italiano a Vienna, contro la fortissima Austria, il “wunder team” allenato da Hugo Meisl.
Non era un grande centravanti, Silvio, era un ciclone, una forza della natura, come Nordahl o Ronaldo ma, al contrario di questi due “panzer”, poteva contare su una struttura atletica prodigiosamente armoniosa e su un temperamento ingenuo e riservato. Non sapeva cosa fosse la presunzione o la scorrettezza. La sua vita è stata limpida e pacata come una gita in montagna o una battuta di caccia tra amici; e ci ha permesso di stargli vicini con affetto ed ammirazione fino ai suoi ultimi anni, che hanno coinciso in qualche modo simbolicamente con gli ultimi anni del secolo. Ricordarlo é come rivivere emozioni semplici ed entusiasmanti, come tornare giovani.”
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