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Le settantadue ore di inferno vissute a Varsavia da un tifoso: “Umiliato dalle guardie, trascinato in carcere e in Tribunale senza aver fatto nulla”
Il giovane supporter della LAZIO racconta la sua disavventura in Polonia partendo dal corteo e spiegando cosa è accaduto a lui, e a molti altri, in quei tre giorni maledetti…
NOTIZIE SS LAZIO – Settatantadue ore di inferno. Questo è quanto ha dovuto penare Daniele, tifoso che giovedì era sbarcato a Varsavia per seguire la sua LAZIO e che invece si è ritrovato invischiato in una situazione decisamente non piacevole. L’idea era solo quella di andare a Varsavia e ad assistere al match tra la LAZIO e il LEGIA, partita che è non ha mai avuto modo di vedere perché, come tanti altri tifosi biancocelesti, è stati preso dalla polizia, chiuso in galera e trasportato in tribunale.
L’inizio del corteo: dalla tranquillità alla paura
“Sono arrivato giovedi alle 2. Siamo arrivati in albergo, alloggiavo al Western Varsavia, che si trovava al centro della città nei dintorni dell’Hard Rock (10 minuti a piedi). Stavo insieme a una ragazza e altri quattro amici. Avevamo saputo che l’appuntamento con gli altri tifosi era alle 15 all’Hard Rock per non andare da soli, visti anche i disordini della sera precedente. Appena è partito il corteo, eravamo circa un centinaio di persone, attraversata la strada tutti insieme, dopo nemmeno 50 metri, una decina di ragazzi che stavano davanti al gruppo hanno caricato le guardie lanciando diversi oggetti. Noi appena abbiamo visto la scena da dietro, impauriti, siamo scappati verso la coda del corteo, vicino alle forze dell’ordine, anche perché la ragazza che stava con noi aveva paura. Inizialmente il corteo è proseguito, con la polizia che ci scortava lateralmente e, a questo punto, ci eravamo uniti con un’altra coppia di Firenze, anche loro a Varsavia per la partita e abbiamo continuato sul percorso del corteo. Non avevamo addosso nessun segno distintivo della LAZIO, né sciarpe, né cappelli, non avevamo niente! Io avevo solo uno scaldacollo nero e un cappellino alla pescatora. A quel punto sembrava essere tutto apposto, fino a quando non ci siamo imbattuti in due ragazzi che erano stesi a terra e il corteo si è fermato. Noi, ingenuamente, abbiamo pensato: “Avranno fermato questi due tifosi ma ora si ripartirà” e invece da lì è iniziato l’incubo”.
E dal sogno di vedere la LAZIO si trasforma in incubo.
“All’inizio” – continua Daniele – ci hanno chiesto i documenti, e non siamo più ripartiti. Ci hanno tenuti fermi per più di due ore, poi verso le 18 abbiamo ricominciato a muoverci e abbiamo pensato che ci portassero allo stadio. E invece ci hanno fatto salire sulle camionette e ci hanno portato al commissariato. Da lì hanno cominciato con le foto segnaletiche, poi hanno preso le impronte digitali, ci hanno levato i telefonini, i lacci delle scarpe, la cinta, il portafoglio. Ci hanno diviso: io non ero più con la ragazza e i miei amici. Siamo rimasti fino alle 2 di notte nei loro uffici, fino a quando non ci hanno caricato sulle camionette e ci hanno portato in carcere. Passata la prima notte in cella, a mezzogiorno del giorno seguente ci hanno fatto uscire dicendoci che saremmo stati trasportati all’aeroporto di Modlin per fare rientro in Italia. Invece siamo stati nuovamente caricati sulle camionette, stavolta con le manette ai polsi, e siamo stati condotti in tribunale, dove ci sono stati detti i capi d’accusa. Non era presente nessun funzionario dell’ambasciata ma solamente un interprete e ci hanno fatto firmare un foglio, in polacco, dicendoci che si trattava di un semplice attestato di presa visione. Alla fine dell’interrogatorio ci hanno riportato ognuno nelle proprie carceri. Lì, appena arrivati, ci hanno spogliato completamente e ci hanno perquisito. La mattina seguente siamo hanno svegliato verso le 6 e mezza, ci hanno portato un bicchiere di thè dopo le due fette di pane che ci avevano dato il giorno prima, che nessuno ha mangiato perché avevano un aspetto inquietante. Successivamente ci hanno portato in un altro tribunale, per raggiungerlo ci è voluta un’ora di pulmino – un viaggio infernale visto che eravamo ammanettati e il conducente spesso e volentieri frenava bruscamente, facendoci scontrare l’uno contro l’altro – stavolta con la presenza di un giudice. Siamo stati condotti in una cella di 3 metri per 3, dove eravamo in otto in attesa di essere giudicati. Di fronte a me c’era la mia amica, che si trovava nella cella da sola, e vedendola piangere ho chiesto di poter stare con lei. Infatti ci siamo presentati davanti al giudice insieme, dove ci hanno elencato i capi d’accusa: schiamazzi, cori e spinte a terze persone. Anche stavolta c’era solo l’interprete. A testimoniare erano presenti tre poliziotti, uno di loro ha riconosciuto la ragazza, un altro invece mi ha riconosciuto me, indicandomi come parte del gruppo anche se non ha saputo confermare la mia presunta partecipazione agli scontri. Alla fine abbiamo appreso che il processo si svolgerà il 31 gennaio 2014 a Varsavia. Non sarà necessaria la nostra presenza, e infatti non andremo, e se risulteremo colpevoli ci sarà recapitata una multa a casa. Noi non ci siamo dichiarati colpevoli ma, nella peggiore delle ipotesi, dovremo pagare questa sanzione. Non abbiamo mai visto nessuno dell’ambasciata, né siamo stati messi in condizione di parlare con i nostri familiari. Io, da giovedì notte, non ho più avuto modo di mettermi in contatto con i miei genitori”.
Il comportamento delle guardie
“Le guardie non ci hanno mai messo le mani addosso – chiosa Daniele – però ci hanno umiliato. Ci rivolgevano frasi del genere: “Roman fanatic, fascist, naziskin” ecc. Una sera mi hanno portato un piattino di brodo, burlandosi di me: “spaghetti! pomodoro! italiano!” ridendo fra di loro. Ci prendevano in giro. C’era anche chi si è comportato bene, soprattutto con la ragazza, perché avevano capito la situazione”.
Daniele Gargiulo
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