INTERVISTE
Acerbi: “Quando smetto con il calcio penso di fare l’allenatore. Io e Ciro abbiamo un rapporto speciale”
ACERBI LAZIO – Nel corso della trasmissione “Tell Me” su Lazio Style Channel, è stato intervistato il numero 33 Francesco Acerbi. Un lungo resoconto della sua vita calcistica e privata. Dalla malattia al trasferimento e alla rinascita alla Lazio fino ad arrivare all’amore per Claudia. Ecco le parole del difensore biancoceleste.
Il passato
“Mi sono trovato bene ovunque, quando rivedo le immagini ripercorro quello che ho fatto nelle varie esperienze. Al Milan è stata colpa mia, non rimpiango nulla, ho sbagliato io, non c’entrava nulla il club, che mi è stato vicino soprattutto con Galliani. Non avevo la testa per stare al Milan. Volevo arrivare, avevo molta motivazione, però volevo anche divertirmi. Avevo forza fisica, cattiveria, ero più bravo degli altri ed è bastato per arrivare al Milan. Poi è morto mio padre, sono successe delle cose, raggiunto quell’obiettivo vedevo solo nero. Da lì mi sono seduto, col senno del poi è solo colpa mia. Ho risolto molti “perché”, sono contento di come sono e sono diventato. La malattia mi ha fatto cambiare, non rimpiango quello che potevo fare in più”.
La malattia
“La scoprii durante le visite mediche di routine prima del ritiro, ero un po’ scioccato, ho fatto subito un giro in bici. La preoccupazione maggiore era per la famiglia, mia madre soprattutto era un po’ ansiosa. Infatti gliel’ho detto dopo che mi sono operato. Tolto il testicolo, tolto il dolore… Poi durante le analisi antidoping mi dissero se avessi assunto dei farmaci per giocare, risposi di no… capii che c’era qualcosa che non andava ancora, quindi dal gennaio 2014 iniziai la chemio. Perché proprio a me? Dopo l’operazione al testicolo non sentivo nulla, 3 settimane ed ero già in campo, come fosse stato uno stiramento. Era stata un’operazione “semplice”. Mi dissero che sarei cambiato dopo la chemio… È stato così, piano piano dentro di me stava nascendo un nuovo Francesco, avevo voglia di giocare, nuovi obiettivi, voglia di mettermi in gioco. Non bevevo più, ho tolto l’alcool, sono cambiate cose nella mia testa. È venuto tutto da sé”.
Credere in Dio
“Credo in Dio, stop. Ad altro non credo. Credo che qualcuno mi abbia fatto capire delle cose, poi se è Dio o mio padre morto che mi vuole bene da lassù, non lo so. Prego per Dio e per chi non c’è più, o per chi mi vuole bene. Devo e voglio credere che ci sia lassù qualcuno che ci protegge”.
Il libro
“Inizialmente non volevo scriverlo, anzi ci sono voluti più appuntamenti. Avevo detto di no, volevo farmi i cavoli miei, perché avrei dovuto pubblicare un libro? Ho avuto un tumore, stop, fine della storia. Poi però ho pensato che un libro potesse andare bene per fare beneficenza e perché essendo un calciatore potessi essere un riferimento per la gente che sta soffrendo e non riesce a reagire alle difficoltà. Le visite ai bambini malati? Ne sono andato a trovare talmente tanti che ora non mi fanno più impressione… Certo, ho sempre un po’ il senso di vuoto, però mi sono ‘abituato’. Tutto questo ti fa ricordare e capire i momenti difficili”.
L’arrivo alla Lazio
“Ho provato forti emozioni. Andai a parlare con Tare, ma Inzaghi mi chiamò e mi chiese: “Vuoi venire alla Lazio? Sei il primo della lista, ti voglio!”. Risposi: “Ti prometto che verrò alla Lazio”. È stata una battaglia mai vista, ci messaggiavamo tutti i giorni con il mister. Sapevo che avrei fatto bene, ero sereno, consapevole di ciò che avrei potuto fare. Per me ogni giorno ora è una dimostrazione, in passato mi ero seduto, ora questo nella mia testa non c’è più. Voglio dimostrare a me stesso più che agli altri. Poi posso giocare bene o male, ma ora so chi sono e voglio sempre migliorare. Non lo faccio per compiacere, a volte in passato succedeva. Ora lo faccio per me e per chi mi vuole veramente bene. Sono molto riservato, ho conosciuto gente di merda, che non è stata sincera. Magari io sono stato un po’ superficiale in passato, credevo nella bontà delle persone. Questo mi ha fatto cambiare. Da solo ho capito di stare bene, so che non mi frego. Ho conosciuto Claudia, è stata un valore importante per la mia crescita emotiva e calcistica”.
La Coppa Italia
“In campionato avevamo fatto meno delle nostre possibilità, contro l’Atalanta ero convinto di poterla portare a casa. Me lo sentivo. Ci sono partite invece in cui non ho sensazioni positive e allora cerco di cambiare facendo qualcosa o avendo qualche attenzione in più. La vittoria in Coppa Italia fu meritata, avevamo fatto veramente bene nel percorso”.
La famiglia
“Mia mamma Silvia è troppo importante per la mia vita, anche se non ci vediamo quasi mai. Ci sentiamo tutti i giorni, chiamate di routine. Voglia che gli altri con me siano felici. Lei è molto più forte di me, ne ha passate tante tra mio padre e le mie storie, eravamo tre figli, ha sempre avuto forza e sorrisi. Va presa come esempio. È dolce e forte. Il “Leone” è stato anche un gran pirla (ride, ndr). La famiglia conta tanto, è il legame più forte, ci credo molto. In pochi entrano a casa mia, sono quelli che ritengo opportuno e che lo meritano. La famiglia viene prima di tutto. Mi sono sempre stati vicini, non so come ringraziarli, non ci sono premi o regali. Quando è morto mio padre avevo 24 anni, ho passato una buona infanzia, non ottima. Con mio padre avevo un ottimo rapporto all’inizio, poi non bellissimo, direi normale. Quando è scomparso avevo fatto poche partite in Serie A, da lì ho avuto la motivazione forte per andare al Milan, dove voleva lui. Con l’arrivo in rossonero per me era finito il mondo. Mio padre mi aveva messo sempre il pepe al culo. Scomparendo non avevo più il pepe e mi sono seduto. Da una parte mi ha aiutato ad arrivare, dall’altra non è stato proprio quello che volevo. Non voglio prendere alcune cose sue, credo che il genitore debba essere anche un amico. Lui non è stato totalmente così. Non sono mai riuscito a dirgli certe cose, pensavo al pallone e basta… Quando cresci poi trovi il coraggio di dire queste cose, comunque è stato un ottimo padre”.
Convocazione in Nazionale
“È sempre un’emozione rappresentare il proprio Paese, poi però fino a un certo punto… Io voglio giocare, se gioco sono più contento. Ci sono anche lì delle gerarchie, le ho sempre rispettate, l’importante è stare nel giro, poi mi creo da solo l’opportunità. Se lo fai costantemente prima o poi arriva la tua chance. Sono lì nel giro e me la gioco con gli altri… sono un titolare come Giorgio (Chiellini, ndr), è quello che volevo e che sto cercando di mantenere per disputare un mondiale o un europeo che sia. Non è facile, si è sempre sul filo, ma è una motivazione in più. Cerco di non sbagliare mai. Quando ci sono le pressioni mi piace, ovvio che si sentano, però capisci anche a che livello sei. Mi piace dare tutto in una partita di calcio. Non deve essere diverso tra Italia o Lazio”.
Su Parolo
“È un bravissimo ragazzo, lo guardo molto, ha la testa a posto. Da titolare inamovibile è passato a essere un giocatore importante dentro e fuori dal campo, si è sempre allenato benissimo, si è fatto trovare sempre pronto. Parliamo spesso tra di noi. Quando stai bene di testa e a casa la differenza si vede, in campo ci vai ‘con la sigaretta’. Riesco a distinguere il calcio dalla vita privata, ma è normale che avere una serenità in più in casa può darti un valore aggiunto durante le partite”.
La felicità?
“Penso sia la consapevolezza di fare il meglio che si può, in generale. Essere onesto, umile, con dei valori, dare tutto a testa alta. Avere una serenità interiore a prescindere da come vadano le cose. Poi è chiaro che a volte mi innervosisco anche io, so il carattere che ho, a volte vorrei ribaltare Formello, ma conto fino a 150. Mi conosco meglio anche grazie al mio psicanalista e al mio mental coach. La fortuna poi uno penso che se la crei da solo… Ci sono cose che non mi piacciono di me, sono sensibile nella vita, non in campo. Per esempio nell’emotività con la ragazza e con le persone a cui voglio bene. Fin troppo. Vedo che c’è un divario totale tra quello a cui tengo e le altre cose”.
Gol al derby
“Se lo sono fatti da soli, con tutto il rispetto per la Roma. Non so perché, ero lì, ho dato una spallatina, poi il gol è gol sempre… Pensavo che lo avrebbero annullato, invece no. Loro quel giorno hanno fatto una partita devastante, noi abbiamo difeso bene ma fatto poco nella loro metà campo. Questo era il primo pareggio dopo tante vittorie, loro erano molto motivati. Noi siamo stati bravi a rimanere in piedi”.
La vittoria in Supercoppa
“La settimana prima avevamo vinto 3-1 in casa con la Juve, poteva andare diversamente in campionato. A Rihad volevamo vincere, abbiamo fatto tanto dal punto di vista mentale, non eravamo appagati della classifica di Serie A. Grande partita, non volevamo perdere. Eravamo noi, quelli che erano primi l’anno scorso. Abbiamo i giocatori per stare nelle prime tre posizioni, quando stiamo bene non c’è niente da fare per nessuno. Partivamo sul 2-0 per noi ogni volta. Siamo sempre dati un po’ per spacciati…”.
Il rapporto con Immobile
“Bel rapporto da subito, poi dal secondo anno è diventato ottimo. Quest’anno ancora di più. Ci diamo qualche bacino a pranzo come portafortuna, io lo chiamo ‘amore’ in campo, mai Ciro. Una volta ho urlato in campo “amoreeee” contro l’Inter, in Nazionale i giocatori nerazzurri mi chiesero “ma chi hai chiamato amore?” Abbiamo un rapporto speciale, porta positività, lui ci tiene talmente tanto a stare qua e all’ambiente Lazio, come me e tanti altri. Ma lui ha qualcosa in più, lui deve fare la storia, lo vuole con tutto se stesso. E io cerco di dargli una mano e qualche energia in più”.
Claudia
“Ci siamo conosciuti al mare, poi siamo sempre stati insieme. L’anno prossimo ci sposiamo, sento che lei mi ha dato una serenità e una felicità importanti, è la donna della mia vita e lo sarà per sempre, con lei ho riscoperto l’amore totale. Le ho detto che lei è l’unica da qui alla fine, non mi innamorerò o starò più con un’altra che non sarà lei. Stiamo bene, anche lei ha un bel carattere, però la amo molto”.
Squinzi
“Con me è stato eccezionale, lui e sua moglie. Avevano una grande forza, ho avuto molte richieste per andare via dal Sassuolo, mi dispiaceva quasi. Dovevo salvare il Sassuolo quasi per riconoscenza, non riuscivo a staccarmi dal Sassuolo e da Squinzi. Mi sembrava di fargli un torto. Per venire alla Lazio ho chiamato lui, non ho mai litigato con loro o mai alzato la voce, gli dissi che era arrivata l’ora di cambiare. Chiesi di venirmi incontro. Ha capito la mia esigenza e mi ha lasciato andare, anche se non voleva”.
Post-carriera
“Mi piace tenermi in forma, fisicamente e mentalmente, sarò sempre in movimento. Magari prima di smettere cercherò di fare l’allenatore coi vari corsi… Vediamo un po’, ora penso a giocare a calcio. Ma il mio indirizzo penso sarà fare l’allenatore”.
-
ACCADDE OGGI18 ore fa
Accadde oggi, 21 novembre: la nascita del testimone muto Ghedin
-
ACCADDE OGGI2 giorni fa
Accadde oggi, 20 novembre: prime volte per Di Vaio e Rambaudi
-
ACCADDE OGGI2 giorni fa
Accadde oggi, 19 novembre: Mauri stende il Messina
-
ACCADDE OGGI2 ore fa
Accadde oggi, 22 novembre: l’eroe Gazza torna a casa