INTERVISTE
Peruzzi: “Alla Lazio non ho potuto lavorare come avrei voluto. Non contavo nulla”
INTERVISTA ANGELO PERUZZI LAZIO – Dopo diverso tempo, Angelo Peruzzi è tornato a parlare della sua esperienza alla Lazio come dirigente. L’ex club manager biancoceleste è intervenuto ai microfoni di Radiosei e ha usato parole forti nei confronti della società.
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Intervista Peruzzi: su come vive attualmente il calcio e la Lazio
“Di partite ne ho viste poche, quasi nessuna. Non seguo tanto il calcio, non mi piaceva farlo neanche quando giocavo. Mio figlio è della Lazio, quando ci sta mio figlio a casa la vedo. Seguo quello che succede, ma non assiduamente, non è che tutti i giorni mi metto a guardare i siti. Ormai non c’entro più niente con la Lazio, fossi stato ancora dentro avrei seguito minuto per minuto. Dei giocatori che sono andati via dalla cena di Natale ho saputo, ma dicono che non era fatto di proposito. Mi sembra strano che i giocatori si alzino e vadano via, non è cortese. Con Peruzzi se ne sarebbero andati alle 9 invece che alle 11 (ride, ndr). Una cosa del genere mi avrebbe fatto arrabbiare parecchio. Penso che non sarebbe successa comunque”.
Sull’addio alla Lazio
“Non ci sarà mai la possibilità di un ritorno, ma non da parte mia, ma da parte del presidente Lotito: è l’ultima cosa che pensa. Lui ha diecimila pregi, però ha due difetti, è supponente e si crede unto dal Signore. Questi due difetti stravolgono tutti i pregi che ha, che sono mille, io non lo metto in dubbio. Rivelando io questi due difetti, pensi che lui si abbassi a chiamarmi, ma manco morto. Non ci pensa proprio. In una società in cui ho lavorato come dirigente per cinque anni, e penso che qualcosa abbia fatto, vado via e non hanno fatto nemmeno un comunicato per dire che si è levato dalle scatole questo rimbambito, arrivederci. Dicono qualsiasi cosa che riguarda i giocatori sui social e non potevano fare una comunicazione del genere? Se non l’hanno fatta, allora è stato giusto che andassi via”.
Sulla sua delusione riguardo a ciò che è accaduto
“Sono un po’ deluso, vuol dire che allora tutte le mie supposizioni di non contare più niente erano veritiere. Non lo so come si è venuta a creare questa situazione. Lotito ha quei due difetti e l’altro che comanda insieme a lui la stessa cosa. Perché le sanno solo loro le cose, gli altri sono tutti stupidi. L’altro è Tare? Eh sì. Tu non conti niente, perché contano loro due. Là dentro non puoi lavorare come vorresti e quindi a un certo punto arrivederci e grazie. Io gli ho detto anche al presidente: se devo avere tre permessi per avere un secchio di vernice per la porta significa che non conto un ca..o, sono come l’usciere. Se chiedo un secchio di vernice dopo tre minuti deve arrivare quello che vernicia le porte. Proposta di ritorno? Irrealizzabile”.
Sul suo sentimento verso la Lazio
“Io voglio male alla Lazio? Io gli voglio un bene della madonna specialmente ai ragazzi e all’ambiente. Sono stato lì più di dieci anni. È stata un pezzo della mia vita quindi è logico che io avrei gran piacere a tornare, ma alle condizioni che dico. Condizioni che ho detto all’inizio quando sono arrivato lì cinque anni fa: che nel mio campo potevo muovermi senza nessuno che intralciasse il mio lavoro e invece non mi hanno fatto contare niente. Mi dicono: “sì tu puoi fare quello che vuoi”, ma in definitiva poi non risolvi nulla perché non ti fanno contare niente. Quando ho cominciato cinque anni fa fino a giugno dell’anno scorso man mano mi mettevano da parte, non te lo fanno spudoratamente ma ti isolano quindi dove vai? Non si può lavorare in questa maniera. Uno crede che conta poi ti rendi conto che non conti più ed è inutile che stai lì. Quando me ne sono accorto? Non lo so non è che la mattina mi sono svegliato chiedendomi conto o non conto. Io vado a fare il mio lavoro, cerco di farlo nel miglior modo possibile poi ci sta che a volte ci riesci e a volte no. E a volte ci sta che non te lo vogliono far fare. Diranno che mi piangevo addosso ma non è così. Non sto qua a dirti questo e quest’altro perché sono cose che è giusto rimangano nello spogliatoio della Lazio”.
Peruzzi sul lasciare la Lazio
“Io non voglio litigare, in questi anni la maggior parte delle volte stavo insieme a Igli. Non è una questione di amicizia, io continuo a esserlo. Dico che lavoro in una certa maniera e come lavoravo io onestamente non si poteva più lavorare perché non c’erano le condizioni per farlo. È molto difficile lasciare la Lazio. Io due volte ho lasciato la Lazio e due volte ho lasciato i soldi lì e qualcuno mi ha detto pure che ero un figlio di una buona donna perché dovevo andare all’Inter con Simone Inzaghi. Io due volte ho lasciato i soldi, sia da dirigente sia da allenatore ho lasciato due volte un anno di contratto. Per amore della Lazio da giocatore, perché in quel momento io se fossi rimasto lì sia da calciatore sia da dirigente avrei potuto fare solo che danni. Perché poi io ho mille difetti ci mancherebbe, faccio un sacco di caz..te, però vedo le cose giuste e sbagliate. Sono uno che facilmente se la prende, sono molto permaloso ed è logico che se qualcuno mi fa un torto faccio fatica a perdonare, però ragiono in quella maniera. Non è una questione di potere. Che dovevo andare a fare? A scaldare la sedia e basta? Qual era il mio ruolo? Io non lo so. In cinque anni alla fine mi chiedo che ho fatto alla Lazio oltre alle cose che ho fatto, che volevano che io facessi? Io sono stato uno che era lì avendo vinto tutto, perché ho vinto tutto, però quando dicevo qualcosa qualcuno storceva il naso o non la prendeva in considerazione. Siccome loro non hanno vinto niente perché tre coppe, due coppe Italia e una supercoppa… Di che stiamo parlando?”.
Sulla scelta e la valutazione dei portieri
“Ho giocato vent’anni in porta, qualcosa saprò più di altri; invece, non capivo niente se parlavo di portieri e allora di cosa stiamo parlando? Tra primavera e prima squadra quando ero lì abbiamo comprato quattro portieri e mi dicevano “Abbiamo comprato questo, come lo vedi?”. Ma che vuoi che ti dica tanto l’hai comprato. Dopo la partita Strakosha o chi per lui faceva un errore e io dicevo che secondo me non era un errore del portiere ma della difesa e loro mi dicevano “Ma no ha sbagliato Strakosha” e allora parlate voi da portieri è inutile che parlo io. Non sono il ruffiano di turno che tutti i giorni chiamava il presidente e gli dicevo “Presidente dobbiamo fare così” o “Quanto è bravo presidente”, non sono capace a fare queste cose. Io il presidente lo sentivo una volta o due volte a settimana per dirgli: è successo questo o quest’altro. A un certo punto eravamo arrivati che per caz..te mi chiamava. Se lui a Formello ha comprato 10 sedie per lo spogliatoio dell’allenatore e il giorno dopo lui va a Formello a mezzanotte, ne trova 9 e mi chiama a mezzanotte per chiedermi dove sta la sedia mancante… ma io ti mando a fan..lo. Intanto mi inca….vo perché mi chiamava a mezzanotte e poi non è il lavoro mio, chiama le guardie e chiedi il perché manca una sedia”.
Angelo Peruzzi sulla progettazione della Lazio
“La progettazione nella Lazio non è mai esistita, questo a me ha dato noia. Cinque anni fa quando arrivai mi dicevano: “Dobbiamo fare il progetto” ma non c’è mai stato. La mia collocazione nella squadra? Io non sapevo mai che ca..o dovessi fare perché se ti allargavi un po’ di più eri costretto a rientrare nei tuoi confini, non sapevi, perché tutti fanno di tutto e tutti non fanno niente. Non ci sono ruoli prestabiliti lì dentro, chi arriva la mattina dice cosa bisogna fare, poi alla fine arriva il presidente e dice: “Non avete capito un ca..o nessuno, bisogna fare così”. Non funziona così, si perde tempo. Guarda negli acquisti, bisogna aspettare sei mesi per concludere per un giocatore. Però il giocatore si segue come si deve seguire, è giusto che il direttore faccia il suo lavoro, ma se devi comprare un portiere è giusto che io dica la mia e invece niente. Così hanno fatto con Reina, Proto, Strakosha così come i portieri della primavera. Non c’erano le condizioni. Mi dovevo arrabbiare tutti i giorni”.
Angelo Peruzzi sul paragone tra Lazio e Juventus
“Paragone con la Juventus? Quando c’era Moggi lui faceva il direttore sportivo, poi c’era l’economo, poi quello che diceva cosa si dovesse fare e poi c’era il team manager. Non c’era invasione di ruoli. Moggi non arrivava al campo dicendo: “L’erba del campo è troppo alta, bisogna tagliarla due millimetri in più. Che ca..o avete fatto fino adesso?”, prendendoti anche a male parole, perché succedeva anche questo alla Lazio. Moggi non lo faceva perché era quello che doveva comprare i giocatori, non quello che si interessava del campo. E’ un esempio stupido, però è per far capire. Questo lo facevano sia Lotito sia Tare. Il ruolo di Tare è il direttore sportivo e comandare tutto lì dentro quando non c’è il presidente. Se io dicevo: “Avevo deciso che a Firenze domani andiamo all’hotel Tal de tali”, arrivava lui e diceva: “No, si va in un altro hotel”, lo ha detto lui, stop. Se dovevamo tornare a casa il giorno dopo o la sera stessa e io e l’allenatore dicevamo la nostra alla fine decideva Tare, anche se è una cosa che spetta all’allenatore. Al presidente sicuro andava bene così. Se dovevo ordinare che ne so 30 penne che costavano 200 euro dovevo chiedere e chiamare prima quello, poi quell’altro, poi fare l’ordine, poi la disdetta. Arrivava lui e diceva: “No, servono mille penne” e il giorno dopo arrivavano mille penne. Lui è il direttore sportivo e fa quel ca..o che gli pare, ma questa non è una cosa fra me e Tare è una cosa che riguarda come è organizzata la Lazio come struttura. Io non c’ho niente contro Igli, sono stato cinque anni lì e pure bene ma eravamo arrivati alla condizione che io non stavo più bene dentro quell’ambiente, ma non per Tare”.
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