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Essere Baroni per conquistare la Lazio: tra dubbi e certezze

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Marco Baroni in primo piano

Giudicare un libro dalla copertina non è giusto. Così come non lo è pensare che sia l’abito a fare il monaco. Tradotto in termini calcistici: non è corretto sentenziare un attore protagonista, calciatore o allenatore che sia, prima di averlo visto sul campo. Senza ancora averne saggiato metodologia, applicazione, abnegazione, voglia, coraggio e tecniche. Ma anche, e soprattutto, umanità e professionalità. Invece, è quello che sta accadendo a Marco Baroni. Il nuovo condottiero della Lazio che, ancora prima di indossare l’elmo, è stato bersagliato di dardi avvelenati.

Marco Baroni e la Lazio, tra dubbi e certezze

Tra tutti, c’è un “J’accuse principale”. Che è quello di essere un fratello minore, marchiato dal provincialismo. Non la figura che la piazza si aspettava dopo Simone Inzaghi, Maurizio Sarri e anche Igor Tudor. La paura del popolo biancoceleste è di cadere nuovamente nell’anonimato. Con un allenatore che per appeal non è abituato a chiedere grandi investimenti o, magari, attrarne altri. Il ragionamento di alcuni tifosi è comprensibile.

Ma non deve impedire alla nebbia di salire agli irti colli. Certo, non è tempo di feste. Ma di analisi sì. Baroni è alla prima esperienza su una panchina importante. E su questo non ci piove. È un esordiente ad alti livelli. E dovrà gestire un gruppo di calciatori che vengono da esperienze importanti, hanno vinto e sono abituati a calcare palcoscenici europei. Una novità per un curriculum che recita Virtus Lanciano, Pescara, Novara, Benevento, Frosinone, Cremonese, Reggina, Lecce e Hellas Verona. Altresì, una sfida da affrontare e vincere, come ha già dimostrato di sapere e potere fare in altre piazze.

Non serve andare tanto indietro nel tempo, inoltre, per trovare esempi simili. Era l’estate 2016 quando Marcelo Bielsa si negò alla Lazio. Salì in sella Simone Inzaghi, il resto è storia. Ancora prima Stefano Pioli. Arrivò in biancoceleste dopo tre anni di Bologna. Non la squadra scintillante di Thiago Motta. E neppure “lo squadrone che tremare il mondo fa”. Ma una compagine da medio-bassa classifica, prima salvata e poi addirittura retrocessa. E l’elenco è ancora lungo: Zdenek Zeman, Delio Rossi, Edoardo Reja, eccetera.

Sarà il campo a valutare Baroni. La carriera è solo una variabile dell’equazione. Le altre si conosceranno con il tempo: metodologia, capacità di rapportarsi con i calciatori, comunicazione. E, sì, anche la volontà di imporsi sulle scelte di mercato. L’ormai ex tecnico del Verona viene da una situazione complicata. Ha fatto di necessità virtù e ha vinto. È riuscito a salvare una squadra che a gennaio è stata stravolta. Ha valorizzato i giovani che aveva a disposizione e, di fatto, scritto un miracolo. Alcuni di loro, come Folorunsho, si giocheranno l’Europeo. Altri, come Noslin, sono ambiti e richiesti. Anche dalla Lazio. Ma ciò non vuol dire che il modello vada replicato a Roma. Non ci saranno stravolgimenti: la società è stata chiara. Servono, però, accorgimenti. E su questo tema l’allenatore dovrà farsi trovare pronto. Solo così potrà scacciare i dubbi dell’ambiente.

Del resto, è inutile parlare. La foto di Baroni con la maglia della Roma che gira sui muri social, è realtà. Tra il 1986 e il 1987, ha vestito il giallorosso. Diciannove presenze prima di transitare per Lecce, Napoli, Bologna, Poggibonsi, Ancona, Verona e Firenze. Una virgola, non di certo un marchio, che non può pregiudicare l’operato, la voglia e le capacità di un professionista. Sven Goran Eriksson docet.

Daniele Izzo
@danieleizzo

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