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AMARCORD CASO e REGALIA: “La LAZIO del -9 fece un’impresa e che emozione lo stadio sempre stracolmo”
Il capitano e il direttore di quella squadra aggiungono: “Arrivammo a 48 ore dal fallimento, facemmo la storia senza avere un ingaggio”…
NOTIZIE SS LAZIO – «Fu un’impresa evitare quella retrocessione. Abbiamo lasciato un’impronta nella storia della Lazio, facendone la fortuna. Credo che quella squadra rimarrà negli annali del calcio, anche perché da quel risultato è dipesa la storia di un intero popolo. Una squadra allestita sulla carta per tornare il Serie A, prima che il fardello della penalizzazione cambiasse tutto. Non smetterò mai di ringraziare i tifosi laziali, in 80.000 per Lazio-Vicenza, senza considerare tutti quelli rimasti fuori: non l’ho più visto uno stadio così gremito». Mimmo Caso ha confidato alcuni aneddoti della LAZIO del -9 ai microfoni di Lazio Style radio 100.7. Commosso il suo ricordo di Giuliano Fiorini, suo compagno di stanza: “Era colui con il quale avevo più intesa, purtroppo il destino ce lo ha strappato troppo presto. Un uomo splendido, sapeva far gruppo e stare in mezzo ai compagni, tirare sempre su il morale. Spesso e volentieri non riuscivamo nemmeno a dormire quando eravamo in camera insieme, davvero un compagno di viaggio straordinario. E quanto fumava! (ride, ndr).Una persona genuina, impossibile da non apprezzare: il suo modo di essere mi ha insegnato tanto. Prima dell’ultima gara col Campobasso, molto sentita da entrambi rimanemmo svegli a chiacchierare con l’allora dottore Alfredo Carfagni fino alle 7 di mattina, per la tensione non riuscivamo a prendere sonno. Il suo pianto dopo Lazio-Vicenza? Fu una liberazione da un fardello troppo pesante, ma la squadra non accusò il calo di tensione, consapevole che c’era ancora lo scoglio degli spareggi da superare. Un obiettivo era centrato, ma ne mancava ancora uno: pianto liberatorio a parte, non ci fu tempo di gioire oltremisura». L’ex biancoceleste poi ricorda il 5 luglio 1987, giorno dello spareggio decisivo a Napoli contro il Campobasso: «Un appuntamento che non si poteva fallire, per l’importanza della storia laziale. Tutto quello che era accaduto precedentemente non atteneva a quella squadra, ma dovevamo comunque sdebitarci con i tifosi che avevano vissuto quell’incubo. I tifosi laziali sono i più attaccati alla loro squadra tra quelli che io abbia mai conosciuto. Se penso che ci seguirono in 40.000 a Napoli per gli spareggi. Il direttore Regaglia? È stato accanto a noi come pochi direttori ho visto fare nella vita. Grazie a persone come lui si è formato quel gruppo coeso, in mezzo a mille problematiche. Portare la barca in salvo non era semplice in quelle condizioni. Il 5 luglio scendemmo tutti in campo senza contratto: non c’interessavano i soldi, il nostro pensiero era soltanto rivolto alla salvezza della Lazio».
Il ricordo dell’ex direttore Carlo Regalia
«E’ stata tutta un’avventura, dall’estate prima con il rischio di sparire fino alla salvezza dopo il -9: Arrivammo a 48 ore dal fallimento, ricordo che un giovedì chiamai il presidente di Lega, Matarrese, avvertendo che la Lazio stava per sparire. Lui prese l’aereo e venne a Roma, andò a casa di Bocchi e si misero al tavolo per impostare un accordo insieme a Calleri. Le scadenze per i pagamenti vari erano fissate per il giorno dopo, ma per noi furono posticipate al lunedì. Senza quel passaggio non saremmo nemmeno qui a ricordare quella straordinaria impresa. Ricordo il giorno in cui ci venne comunicata la notizia. Eravamo in ritiro a Gubbio, mi avvertirono verso le 15 mentre tutti erano a riposare. Gianmarco e Giorgio Calleri mi annunciarono il loro arrivo: ‘Ci hanno mandato in Serie C’. Corsi a svegliare Fascetti, che prese subito in mano la situazione: ‘Io rimango, chi non se la sente faccia la valigia e se ne vada’, disse ai giocatori in quello storico discorso. Restarono tutti in silenzio, anche gente come Pin che solo l’anno prima era titolare con Platini nella Juventus campione d’Italia. CASO? Mimmo era un giocatore per cui parla la sua carriera, volevo portarlo già a Bari quando aveva 18 anni ma non ci riuscii Il ricordo più marcato che ho risale all’ultimo minuto della stessa sfida contro il Campobasso: lui non si decideva a tirare una punizione in nostro favore, l’arbitro Casarin si fece tutto il campo per ammonirlo. Il cartellino gli cadde, andò per raccoglierlo e poi fischiò la fine della partita. Una gioia indescrivibile”».
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