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Atalanta-Lazio 1-3, lesa maestà all’Atleti Azzurri d’Italia
Giuseppe Signori segna il gol numero cento e viene colpito da una monetina alla testa…
C’ERA UNA VOLTA – Un re. Lo scettro lo aveva conquistato sul campo, a suon di duelli vinti contro i portieri di mezzo mondo. Un sinistro da leggenda, la rapidità di esecuzione come dote principale. Giuseppe Signori ha scritto pagine indimenticabili conquistando il popolo laziale come pochi hanno saputo fare nella storia ultracentenaria del club biancoceleste. Un condottiero amato da tutti: compagni di squadra, tifosi e avversari. Al seme dell’invidia, però, basta poco per germogliare, spesso proprio dove nessuno se lo aspetta.
Bergamo, 28 aprile 1996. La Lazio fa visita all’Atalanta, il re gioca praticamente in casa. Signori, infatti, è nato ad Alzano Lombardo, paesino a due passi dal capoluogo orobico. L’accoglienza non è delle migliori, le due tifoserie prima del match si scontrano duramente. In campo sono i biancocelesti di Zeman a dominare: Casiraghi apre subito le marcature con la complicità di Valentini, ma Morfeo ristabilisce la parità al 33° minuto. Si va negli spogliatoi sul risultato di 1-1. Al ritorno in campo il re prende i suoi compagni per mano, c’è un traguardo importante da raggiungere. A Sua Maestà Beppe Signori, infatti, manca una sola rete per fare cifra tonda, quel numero cento che pochi attaccanti possono vantarsi di aver raggiunto in carriera. Al minuto 12 l’occasione più ghiotta: Fuser viene atterrato in area, calcio di rigore. Il numero 11 biancoceleste prende la sua solita rincorsa, nemmeno guarda il portiere, sa già come andrà a finire. Quello che succederà di lì a poco, però, non può di certo immaginarlo. La rete si gonfia, Signori corre ad esultare. Tutto secondo copione fino al minuto 24: l’attaccante laziale va sulla bandierina per battere un calcio d’angolo, dagli spalti una monetina lo colpisce in testa. Il medico sociale della Lazio parlerà di abrasione, Bonacina, centrocampista atalantino, confermerà dopo aver toccato con mano il bernoccolo. Il tris di Esposito è solo contorno, Atalanta-Lazio verrà ricordata come la partita della lesa maestà.
Una storia che è entrata nella leggenda, così come il suo protagonista. La Lazio a Bergamo ha sempre dovuto affrontare battaglie all’ultimo sangue. Stavolta non c’è nessun condottiero a guidarla. Niente re su cui fare affidamento, ma una schiera di principi che con il tempo potranno prendere il comando. Il posto che è stato di Signori, quello no: nell’Olimpo biancoceleste c’è già chi viene chiamato Sire e porta il numero 11 sulle spalle.
Matteo Vana
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