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Baronio: “Avrei potuto fare di più. Boksic con la mentalità giusta sarebbe diventato come Ronaldo il Fenomeno”

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BARONIO LAZIO INTERVISTA – Nel corso degli anni, la Lazio ha visto passare un’enormità di talenti che poi non sono mai esplosi del tutto. Uno di questi è senza dubbio Roberto Baronio, centrocampista dalla tecnica sopraffina e una visione di gioco perimetrale da top player. Nei suoi trascorsi in biancoceleste, Baronio ha dovuto fare i conti con una concorrenza spietata rappresentata da calciatori del calibro di Veron, Mancini, Almeyda, e di questo e tanto altro ha parlato in una bella intervista rilasciata alla pagina Instagram, Il Cuoio. Ecco le sue parole.

La Lazio di Cragnotti

Quella di Cragnotti era una Lazio di campioni e professionisti esemplari, non potevo allenarmi male con loro: ero l’ultimo arrivato, loro si allenavano a mille e io non potevo permettermi di non dare il massimo davanti a Salas, Mancini, Crespo e tutti gli altri. Io non giocavo tanto per demeriti miei quanto per meriti degli altri. In seguito è arrivato un allenatore a cui non piacevo e ho avuto difficoltà. Non mi ispiro ad un allenatore in particolare, prendo da tutti cose positive e negative. Ad esempio Delio Rossi, grande allenatore sul campo, ma a livello di gestione era l’opposto di Eriksson. Mi ispiro a Rossi per non fare lo stesso errore che lui fece con me, io il martedì sapevo già che la domenica non avrei giocato. Basta poco per far sentire importanti i giocatori, non essendo mai incitato o corretto durante l’allenamento l’entusiasmo lo perdi.”

I rimpianti

“Sono consapevole che avrei potuto fare molto di più. Ci sono giocatori che sviluppano prima e altri dopo la consapevolezza mentale. Io a livello fisico non ero straripante quindi dovevo mettere la tecnica al massimo servizio della squadra, dovevo accelerare il mio pensiero rispetto a quello degli altri. Potevo fare di più perché magari all’inizio sono stato premiato da tutti gli allenatori e poi c’è stato un blocco, dovuto sicuramente a demeriti miei ma anche alla situazione. Mi sono ritrovato nella grande Lazio, l’epoca di Cragnotti, in un gruppo in cui dovevo dimostrare. Lo facevo con l’under 21 ma non era facile. Poi con Eriksson arrivano i campioni, la Lazio vince e per me diventa sempre più difficile. Cerco di capire le difficoltà di quegli allenatori quando dovevano gestire quella Lazio e non si trattava solo dei Veron, Salas e Almeyda ma anche me, Gottardi, Ballotta, Eriksson è stato un grande gestore perché trattava me e Veron nello stesso modo, altri allenatori venuti dopo non hanno fatto lo stesso. Davo il massimo e non venivo premiato, il che non significa solo essere titolare la domenica ma anche un riconoscimento verbale. La differenza l’ha fatta nello scudetto anche chi giocava poco, perché teneva alta l’intensità degli allenamenti per quei campioni: e lì la grande differenza l’ha fatta Eriksson perché premiava, sapeva trattare me come trattava Boksic o Mancini”.

La Supercoppa Italiana

“Non sono mai stato ben visto dalla società Lazio nonostante non abbia mai parlato male dopo la mia carriera in biancoceleste. Quando arrivò Ballardini chiamai Tare e mi dissero che sarei andato via, quindi dissi che sarei comunque andato in ritiro nonostante la società mi diede venti giorni di vacanza. Volevo mettermi in mostra e allenarmi senza creare problemi, la società accordò questa scelta e Ballardini cominciò a conoscermi. Poi nacque la polemica con Pandev, Ledesma e gli altri, quindi Ballardini un po’ perché non aveva un play un po’ perché gli piacevo parlò con la società, cambiarono i programmi e addirittura mi mise in campo in quella finale di Supercoppa in cui battemmo quell’Inter invincibile.”

Un anneddoto su Boksic

“Se avesse avuto la mentalità del campione sarebbe diventato come Ronaldo il Fenomeno. Quello che ho visto fare ad Alen in allenamento non l’ho mai visto fare a nessuno, quando me lo sono ritrovato davanti ho pensato che sarebbe diventato uno dei calciatori più forti della storia. Aveva una personalità molto forte, ricordo che in un allenamento Alen chiese al massaggiatore di farsi riempire d’acqua il barattolo dei sali e lui disse di no, perché doveva fare troppa strada. Alen quindi gli rispose che avrebbe fatto un giro di campo e, se al ritorno non avesse trovato il barattolo pieno, lo avrebbe attaccato al muro. Una volta tornato il barattolo era vuoto e allora prese il massaggiatore per il colletto e lo appese contro la recinzione!”

Il rapporto con Di Canio

“Con Di Canio ho avuto la fortuna di avere un bel rapporto: è una persona che vede bianco o nero, nello spogliatoio quando era in vena era incredibile. Ricordo che Giocondo portava dalla cucina un carrello con succhi, crostate, cose da mangiare dopo l’allenamento. Non vi dico cosa faceva Paolo con la spremuta o cosa metteva nella bottiglia del tè freddo.”

Gli esordi in Serie A

“Non sono diventato un calciatore importante, quelli sono altri. Chi lascia un segno importante a livello nazionale lo è, quelli che sono conosciuti ovunque in Italia. Io non mi reputo al livello di chi ha fatto molto di più anche se c’è chi ha fatto peggio. Ho dei flash clamorosi sul mio passato, mi ricordo che quando ero piccolo in tv davano tutti i gol del calcio europeo e mi colpì un gol di Daniel Fonseca con il Cagliari contro la Sampdoria, con in sottofondo la canzone ‘Uno su mille ce la fa’. Da piccolo mi chiedevo se sarei stato io quell’uno su mille, poi sono cresciuto nel settore giovanile del Brescia e ho cominciato ad allenarmi con la prima squadra. Anche lì però non sei arrivato da nessuna parte, lo insegno anche ai ragazzi che alleno: l’allenamento una tantum o la panchina quando mancano tutti non è essere calciatori, lo è quando si fa parte della squadra in pianta stabile. Lucescu mi fece capire nel 94/95 mi avrebbe fatto debuttare, i grandi mi reputavano uno del gruppo e piano piano mi sono accorto di essere arrivato lì.”

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