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Cesar racconta: “Con la Lazio legame indissolubile, sogno di tornare…”
NOTIZIE LAZIO – L’ex terzino biancoceleste: “Ho sempre continuato col mio motto, non mollare mai…”
NOTIZIE LAZIO – Quarantuno anni e non sentirli. Li compie oggi Aparecido Rodriguez Cesar, per tutti semplicemente Cesar e per i tifosi laziali Cesaretto. Il brasiliano che ha conquistato la Lazio soprattutto con un gol, quello segnato nello storico derby del 6 gennaio 2005, quello del ritorno di Di Canio. Il numero 10 biancazzurro segnò il 2-1 con un diagonale di destro con coordinazione perfetta, un gesto tecnico che gli è valso un posto d’onore nel cuore di ogni laziale. Una carriera e una vita però partite da lontano, dalla povertà, una storia di riscatto come tante, ma come spesso capita la beffa è dietro l’angolo. Per Cesar si chiama prigione, un’esperienza per ‘concorso in rapina’ che lo ha segnato. “La mia è una storia semplice, quella di un ragazzo cresciuto in un quartiere umile del Brasile dove l’unica fonte di ispirazione era il pallone – inizia a raccontare ‘Cesaretto’ a gianlucadimarzio.com -. Io ho sempre pensato a quello. Il mio primo ricordo è legato proprio a un pallone: me lo regalò mia mamma per il quarto compleanno e da allora non me ne sono più staccato. Verso i 15/16 anni andai via, iniziai a giocare nelle squadre di quartiere, facendo tornei tutte le sere. Finchè un giorno un allenatore si accorse di me e mi portò alla Juventus di San Paolo. Vincemmo il campionato. Tutto bellissimo, fino a quell’episodio… Nella vita si fanno degli errori ed è giusto pagare. Quando gli autori del reato furono presi fecero il mio nome, io non avevo idea di ciò che avevo fatto. Ho ammesso le mie colpe e scontato la mia pena, che poi è stata diminuita per meriti sportivi e per buona condotta. E’ stata un’esperienza durissima, ma l’ho saputa superare”.
IL GRANDE SALTO E LA LAZIO – “Io sono fiero di come sono andate le cose, perchè se non fosse successo tutto questo magari adesso non mi troverei qui. Sono diventato una persona migliore, non ho mai mollato. Grazie a questa personalità mi sono rilanciato con il Sao Caetano, facendo un percorso molto simile a quello del mio amico Roberto Stellone con il Frosinone, salendo dalla C alla A. E mi sono guadagnato la chiamata della Lazio”. Con l’Aquila sul petto tante gioie, in primis “la Coppa Italia conquistata contro quella Juventus, perchè quello era un calcio diverso. La Lazio mi ha seguito per circa sei mesi – continua a raccontare Cesar – Poi, un venerdì di marzo del 2001, vennero in Brasile il presidente Cragnotti e suo nipote, Raffaele Bellassai. Con la società era tutto fatto, doveva arrivare solo il mio ok. Quel giorno, a pranzo, Cragnotti portò la maglia numero tre: non ebbi più alcun dubbio e accettai”.
GLI OSTACOLI – “Nel primo anno ho avuto tante difficoltà legate soprattutto alla tipologia di allenamento, alla differenza di metodi. Davo tutto me stesso, ma non riuscivo a rendere. Però mi dicevo: ‘Dai Cesar, sei in una delle squadre più forti del mondo, questo vuol dire che sei forte!’. Ho continuato col mio motto, ‘Non mollare mai’, e con l’arrivo di Mancini è cambiato tutto. Cos’è per me? A lui devo tutto, è unico. Più di un allenatore, un amico, un fratello, ma anche un padre. Mi ha sempre dato il massimo della fiducia, abbiamo pure avuto scontri a volte, ma mi sono reso conto che quando abbiamo discusso lui ha sempre fatto tutto per il mio bene. Mancini è stato decisivo per il mio cambio di mentalità. Dopo il primo anno di difficoltà ho deciso di restare anche se la società aveva preso Manfredini e Sorin, dovevo dimostrare tutto il mio valore e così è stato. Il resto è storia”.
IN PANCHINA, SOGNO BIANCOCELESTE – “Ho allenato per tre anni i ragazzini della Lazio ed è stata un’esperienza bellissima. Non pensavo di voler fare l’allenatore, pensavo che sarei diventato un direttore sportivo, ma dopo aver seguito le lezioni di un docente ho capito che questa è la mia strada. E’ l’unica cosa che mi fa stare bene, ed è ancora più bello quando i ragazzi riconoscono l’impegno che metti nel tuo lavoro.Dove voglio arrivare? Ho tante ambizioni, quindi credo che per me sia arrivato il momento di confrontarsi con il calcio dei grandi. Su quale panchina? Magari, un giorno, su quella della Lazio. Però sarebbe strano, perchè da allenatore potrei durare una o mille stagioni, ma prima o poi il nostro rapporto si potrebbe interrompere. Io ho un legame troppo forte con la Lazio, è qualcosa di indissolubile. Non so, vedremo. Un modello? Mancini, che te lo dico a fare…”.
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