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DERBY LAZIO-ROMA. Panchine rovesciate
IL CORRIERE DELLO SPORT – Passare da una sponda all’altra del Tevere è tradimento. Ma per gli allenatori l’attraversamento è più semplice…
IL CORRIERE DELLO SPORT – Passare da una sponda all’altra del Tevere è tradimento. Ma per gli allenatori l’attraversamento è più semplice…
RASSEGNA STAMPA – (S. Di Segni) – E’ una mossa azzardata, è alto tradimento: il Tevere si tinge di fiele, durante l’attraversamento. A Milano l’episodio non fa troppo fracasso, nella Capitale può scatenarsi un putiferio. Se hai vissuto un giorno da romanista o da laziale, la riverniciata non passa mica inosservata: su una sponda salutano lo spergiuro, sull’altra c’è il rischio che guardino con diffidenza l’infedele. Pochi, pochissimi riescono ad ottenere il perdono. Tuttavia il passaggio ha regole cittadine meno severe, quando di mezzo c’è l’allenatore. A Fulvio Bernardini la Roma ha intitolato il centro sportivo di Trigoria, Fuffo è nella Hall of Fame giallorossa: un campione trasversale e senza tempo, un romano glorificato dai Lupi, meno dalle Aquile. E pensare che da giocatore ha mosso i suoi primi passi nella Lazio: come portiere prima e come centrocampista poi. Dopo la parentesi nerazzurra, la mezzala tornò nella sua città, ma per vestire la maglia della neonata Roma, con la quale collezionerà 303 presenze totali e 47 gol. Dopo il ritiro, allenerà i giallorossi nel 1949-’50 e verrà esonerato. La seconda catapulta la prende nel 1958, quando balza sulla panchina della Lazio, nello stesso anno in cui Selmosson passa sull’altro lato del Tevere. Ai biancocelesti, Bernardini ha regalato una Coppa Italia e con essa il primo titolo della loro storia. Questo signore, non fu mai di critiche sgradevoli da parte delle due tifoserie. C’è un gentleman in sandali che ha sperimentato la stessa traiettoria: l’inglese Jesse Carver, uno scudetto con la Juve e una prestigiosa esperienza alla guida dell’Olanda, siede sulla panchina della Roma nel 1954-’55. Vince un derby, un altro lo perde, centra un secondo posto fa ritorno in patria. Dodici mesi dopo si ripresenta all’aeroporto di Ciampino, questa volta per guidare la Lazio. Non si aggiudica una stracittadina, ma verrà ricordato con simpatia dai laziali. Lo straniero può rovesciare più facilmente le cose, se i fratelli di Zdenek Zeman si chiamano Juan Carlos Lorenzo e Sven Goran Eriksson. L’argentino per i romanisti sarà sempre l’allenatore che organizzò la colletta del Sistina, per i tifosi della Lazio lo stregone della promozione in A, del tradimento nel ‘64, del dietrofront nel ‘68 e ancora di una promozione e di una retrocessione. E venne l’epoca dello svedese di ghiaccio. La freddezza, forse, era un segno premonitore: Eriksson allena la Roma dal 1984 al 1987, conquista una Coppa Italia, sfiora uno scudetto, sprigiona il bel gioco. Nell’estate del 1997, mentre Zeman si trasforma in Profeta giallorosso, Sven viene chiamato da Cragnotti alla guida della Lazio: il connubio è fortunato, culmina nel tricolore, passa per due Coppe Italia, altrettante Supercoppe italiane, una Coppa delle Coppe, una Supercoppa europea. Con il derby non si surriscalda, ma il poker di vittorie contro il boemo fa storia. Eriksson non vive la rivalità in toni accesi, di rado fa riferimento alla Roma e sempre con garbo, mai una punta di veleno: su entrambe le sponde gode di rispetto, stima, perfino simpatia. Da tecnico della Lazio, lo svedese cadrà tre volte sotto i colpi di Totti e compagni.
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