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GAZZETTA DELLO SPORT. ANNA e l’ultimo sorriso di PIERMARIO
Una sintesi dell’articolo de La Gazzetta Dello Sport. La fidanzata di Morosini a Pescara per salutare il suo amore: ”Sembrava dormisse”…
GAZZETTA DELLO SPORT. ANNA e l’ultimo sorriso di PIERMARIO
Una sintesi dell’articolo de La Gazzetta Dello Sport. La fidanzata di Morosini a Pescara per salutare il suo amore: ”Sembrava dormisse”…
A un certo punto del pomeriggio, quando combatte ormai da un giorno con il mondo che le è caduto addosso e nel disperato tentativo di non esserne schiacciata, Anna prende una decisione. È già andata in ospedale, ha guardato Mario, è sembrata piccola piccola rispetto a quell’esame così grande da superare, l’attimo più temuto, quello immaginato nel lungo viaggio in macchina da Bergamo a Pescara. Ha pronunciato poche, semplici parole, ha detto che Mario «sorrideva, sembrava dormisse». Ha aggiunto che «era bellissimo». Ha incontrato Demetrio Albertini, che le ha portato le sue condoglianze e quelle della Federcalcio e che giocava più o meno proprio nella zona del campo di Morosini. Ha incrociato anche Andrea Abodi, il presidente della Lega di B, anche lui a testimoniare il dolore del suo mondo. Ma adesso, Anna ha bisogno di un altro verbo. Ha bisogno di scrivere. E scrivere, per lei, per Anna Vavassori, è un modo per restare fedele a Piermario Morosini, il suo fidanzato. Poche righe, ma che somigliano a un manifesto d’amore e corrispondono in maniera pazzesca ai tanti racconti sulla loro unione, a quel «rapporto che durava da tempo, serio, bello», come dice Don Luciano, il parroco di casa, che s’incarica di leggere pubblicamente ciò che lei ha scritto. Il pallone adorato Anna racconta il pallone di Mario. Che non era il suo, di giocatrice di pallavolo di serie C, Valpala è la squadra, libero il ruolo, ma che aveva conosciuto e che le era entrata dentro come la malinconia e la forza di quel ragazzo. «Piermario — scrive lei — adorava giocare sotto la pioggia. Mi diceva che la palla ha bisogno di un trattamento diverso. Ieri è stato così. Sono sicura che fosse felice, il calcio e quel pallone davano un senso alla sua vita. E oggi questo sole e questo vento caldo accarezzano il mio viso e quello di tutti i suoi amici e familiari». La piccola saletta dell’albergo resta zitta per alcuni secondi. Poi il prete e l’agente del giocatore, Ernesto Randazzo, chiedono aiuto. Implorano di accontentarsi di queste parole, di non varcare la frontiera anche fisica, che divide una porta dell’hotel dal resto della vita e del mondo che sopravvive a questo dolore così forte. Forse pensa questo, Anna. Perché quando vivi un dolore così ti sorprendi soprattutto di questo, del mondo che non finisce, che continua, che va avanti quasi come se nulla fosse: i ragazzi sulla spiaggia, quelli che fanno jogging il pomeriggio, il caffè, il gelato, la passeggiata. Con quella ragazza, Anna ormai diventata Annina, che abitava a poche centinaia di metri: lui a Monterosso, lei a Santa Caterina, nella Bergamo che guarda lo stadio. Conosciuta cinque anni fa e con cui da quel momento aveva saputo costruire qualcosa d’importante. Anche se tutti quelli che li conoscono, quasi per pudore, non vogliono dire che forse si sarebbero sposati presto, perché questa è storia solo loro e non è giusto entrare dentro così, liquidando in due parole una storia grande.
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