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Lazio, il racconto di Sarri tra calcio, ciclismo, lettura e “Sarrismo”

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LAZIO SARRI INTERVISTA – Il tecnico della Lazio Maurizio Sarri si è raccontato in una lunga intervista ai microfoni di RSI, parlando di calcio, ciclismo, di Sarrismo e tanto altro.

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Lazio, le parole di Sarri nell’intervista

“Per me quello con il calcio è un innamoramento avuto fin da piccolo. Penso che derivi dal fatto che è uno sport di squadra, anche se negli ultimi anni a livello mediatico viene dato più peso all’individualità. Solo il rugby penso abbia le stesse caratteristiche di organizzazione del calcio, perché si gioca in un campo con delle dimensioni estremamente ampie e con tanti giocatori. Razionalizzare i movimenti dei giocatori è una grandissima passione, ma mi sono divertito anche a giocare. Il calcio è un gioco apparentemente semplice, soprattutto per i singoli, anche se coordinare 11 giocatori su un terreno non è proprio semplicissimo. La vittoria è sicuramente importante per dare vigore alle idee. Ritengo però che se si ha il piacere di giocare in un modo bello da vedersi questo sia più appagante e porta di conseguenza, alla lunga, anche migliori risultati”. 

Sul calcio di oggi

“Nel calcio degli ultimi anni, per vincere bisogna andare in determinate squadre. I giocatori di livello possono ancora fare, e fanno, la differenza. Prima le disponibilità economiche delle squadre erano di qualche miliardo di lire, oggi di qualche centinaia di milione di euro, questa differenza porta a vincere sempre le stesse squadre. Si vede un po’ in tutti i campionati europei. La cultura italiana è particolare, si fa più tifo contro che a favore, cosa che in Inghilterra non ho visto, lì puoi andare in trasferta con tifosi di altre squadre. Qui a livello culturale-sportivo non siamo messi benissimo. Parlare di allenatore come educate in questo mondo non è il caso, se ne parliamo a livelli giovanili posso essere d’accordo. Ai nostri livelli hai a che fare con aziende individuali, quasi tutte di fatturato milionario, quindi è difficile essere un educatore. Si cerca di far passaggi messaggi e dei valori, fondamentali nello sport di squadra, continuamente I soldi? nel calcio e nella vita aiutano, ma la felicità è un’altra cosa. Certe cifre nel calcio sono immorali? Come lo è il mondo. Se un attore guadagna 30 milioni di euro per un film è immorale, ma probabilmente c’è un ritorno economico che lo giustifica. Io lo ritengo ingiusto, però anche questo fa parte del mondo di oggi”.

Sulla passione per la lettura

“I novanta minuti che passi in campo sono una parodia della vita. Ci sono momenti esaltanti o difficili, in cui si può vincere o perdere, come nell’arco della vita, quindi conoscerla ti aiuta anche nel calcio. Cosa cerco nella lettura? Prima di tutto il piacere personale. Io devo ringraziare gli insegnanti che ho avuto, mi hanno permesso di fare percorsi diversi da quelli classici della scuola. In classe mi annoiavo, loro mi hanno spinto verso letture che mi appassionavano. Leggere è un momento di svago, ma anche di forte arricchimento. Mi serve anche per il mio lavoro: la facilità di linguaggio che ti può dare leggere molto, penso possa essere incidente anche nella professione. Il calcio va salvato dalla bellezza? Il calcio deve essere salvato da se stesso, si sta andando su una strada nella quale è impossibile mostrare la bellezza. Dover giocare 60 o 70 partite all’anno porta i giocatori ad allenarsi di meno e a produrre uno spettacolo meno bello. Siamo in una fase in cui lo sport è diventato un business”.

Riguardo la tuta

“Bukowski diceva di non fidarsi di chi va in giro in tuta? Dalle sue poche foto che ho visto, ho notato che era messo peggio (ride, ndr). Io ho un’ammirazione talmente grande per questo scrittore che gli perdono tutto. Spesso vedo partite della Primavera giocate in campi improponibili con gli allenatori in divisa sociale e mi vien da ridere. Noi facciamo un lavoro da campo, non vedo che ci sia di male nel lavorarci in tuta. Quando lavoravo nella Finanza andavo in giacca e cravatta. Il mondo è andato verso una direzione in cui conta più l’apparenza ed è ridicolo. Io dico sempre che i manager che guardano il calcio in un altro mondo lavorativo sarebbero licenziati. Il mio lavoro precedente mi ha aiutato: il doverti scannare per aprirti una strada è utile”.

Sul tema del Sarrismo

“Cerco sempre di innescare un modo di giocare a calcio che permetta il contatto con la palla molto spesso, perché questo è il motivo per cui abbiamo iniziato. Il rapporto palla-uomo è eterno, è quello che ci dà questo senso di divertimento, quindi cerco di trovare un modo di giocare che non spenga nel calciatore questo entusiasmo. Cosa ho pensato quanto ‘Sarrismo’ è entrato nella Treccani? Che abbiamo tutti perso la testa (ride, ndr). Io non mi accontento mai. Noi abbiamo vinto 4-0 in trasferta e sono andato a letto inferocito, ma penso sia giusto così. Se ci diamo obiettivi troppo facili ci si accontenta facilmente, l’obiettivo dev’essere impossibile, un’utopia. Solo se è così vai a letto con un lieve giramento e quindi cerchi di migliorarti tutti i giorni. Non c’è un episodio che mi ha dato più soddisfazione in carriera. L’errore che fa la gente, solitamente, è quello di abbinare la mediaticità dell’evento a quello che realmente l’evento rappresenta per te. Io sono uno che cerca di migliorarsi tutti i giorni e cerco di adattare le mie idee in base ai giocatori che dispongo in quel momento, mi ritengo più un trasformista che un’integralista, avendo utilizzato tutti i moduli nella mia carriera”. 

Sul ciclismo

“Se dovessi scegliere tra la finale di Champions League e la Parigi-Roubaix, guarderei sicuramente il ciclismo. E’ uno sport vero. Anche lì, seppur resti uno sport individuale, noto che la squadra sta contando molto di più dei singoli. Quelli forti sono sette o otto e più di questi è importante la squadra. E’ uno sport di grande fatica che richiede una passione veramente feroce. A differenza del calcio, poi, i grandi stipendi sono riservati ai pochi veramente forti, gli altri gareggiano per uno stipendio normale. Ho veramente un grande rispetto per chi pratica questo sport, vederlo mi dà grande soddisfazione. Io, tra l’altro, vengo da una famiglia di ciclisti”.

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