Sul parallelismo tra la Lazio di Calleri e quella di Lotito, entrambe provenienti da periodi difficili:
“E’ difficile entrare nella testa delle persone, soprattutto essendo fuori dal mondo Lazio. Noi in quel periodo, sempre con l’aiuto dei tifosi, abbiamo costruito qualcosa perché i Calleri erano gli unici che potevano prendere davvero la società. Quando sono arrivati i nove punti di penalizzazione la squadra ha tenuto per la passione del presidente e per la grandissima personalità di Fascetti che, quando arrivò la sentenza della retrocessione in Serie C, confermò che sarebbe rimasto. ‘Se qualcuno di voi non è d’accordo se ne deve andare subito’, disse. Quella è stata la base per ripartire. Quando si avvicinò Cragnotti si capì subito che aveva i mezzi per poter far esplodere il potenziale di quella squadra, che partiva con una base con elementi come Riedle, Ruben Sosa, Thomas Doll, ma anche Gabriele Pin, che l’anno prima era diventato campione del mondo con la Juventus”.
Sugli errori commessi in sede di pianificazione:
“Avrei scommesso su un miglioramento o su una conferma di quanto visto lo scorso anno, partendo dall’allenatore che era il vero fuoriclasse di questo gruppo. Sicuramente, anche se si è fatto ironia su questo, il gruppo era difficilmente migliorabile per le risorse economiche a disposizione, ma qualcosa si è sbagliato e forse qualcosa si è rotto anche all’interno del gruppo. E’ calato il rendimento di alcuni elementi che erano punti fermi, senza contare i nuovi che, Milinkovic a parte, stanno dando davvero poco”.
Sul pareggio di Frosinone:
“Io mi auguro che non ci sia un decadimento progressivo. Giocare contro una squadra in lotta per non retrocedere è difficilissimo e soprattutto non procura vantaggi. Se vinci hai fatto solo il tuo dovere, se non ci riesci emergono un sacco di dubbi. La squadra non è riuscita a ripetersi ai livelli dell’anno scorso e non è un problema che nasce a Frosinone. Anche perché la permanenza di tutti i big doveva preludere ad un altro tipo di rendimento, al di là di altri errori che possono essere stati fatti dalla società”.
Sul lavoro del direttore sportivo:
“Quando ci sono pochi soldi bisogna far lavorare il cervello. E’ inutile stare sempre seduti accanto al presidente. Bisogna girare i campi, battere le strade indicate dall’allenatore in base alle esigenze della squadra e cercare magari di individuare quei giocatori che in futuro potranno valere tanto, ma prima che le loro valutazioni si impennino. Un modus operandi che a suo tempo mi fece scoprire, quando giocava nella Pro Patria, un giocatore sul quale all’epoca non voleva scommettere nessuno: Luciano Re Cecconi”.