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Lazio, una squadra così diversa ma così unita

IL MESSAGERO (E.Bernardini) – Nello spogliatoio sono tante le nazionalità che convivono ma in campo l’unità è sovrana sotto il comando di Inzagh

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IL MESSAGGERO (E.Bernardini) – Dimenticate pistole, fucili e guerre come quelle che spesso si vedevano al campo Maestrelli. Era il 1974 da un lato Chinaglia e dall’altro Wilson. Due generali al comando di due piccoli eserciti. Poi papà Maestrelli metteva tutti in riga la domenica. Era la Lazio dello scudetto. I tempi sono cambiati, oggi tutto corre su social e smartphone. Le divisioni nella Lazio di Inzaghi sono geografiche. La mappa del mondo tinta di biancoceleste abbraccia praticamente tutti i continenti, andando dal brasiliano Leiva all’australiano Oikonomidis. Lingue, culture e modi di vivere differenti. Ecco allora che risulta più facile unirsi tra chi si capisce. Piccoli clan che però non hanno nessun tipo di rivalità. Durante il ritiro sono apparsi subito chiari i vari gruppetti. Bastava però accendere lo stereo. Tutti in piedi, la Lazio baila a ritmo. Inzaghi è il grande vecchio che sa bene co- me prendere tutti i suoi ragazzi. È psicologo e maestro. E non è un caso che in campo il gruppo sia unito. Tutti per uno e uno per tutti.

I SENATORI – Il senato è composto da capitan Lulic, da Radu, Parolo e Immobile. Sono loro a vigilare per primi sullo spogliatoio, a prendere le decisioni e a rimproverare chi sgarra alle regole. E non è un caso che siano stati proprio Ciro e Senad a parlare con Keita. Hanno più esperienza e anni di militanzia biancoceleste rispetto agli altri. Inzaghi li tiene in molta considerazione così come la società, che comunica a loro le decisioni.

I BRASILIANI – Sono i più estroversi e caciaroni del gruppo. Il ritmo latino che gli scorre nelle vene è benzina per accendere il fuoco della fiesta. Anderson, Wallace, il giovane Luiz Felipe, cui si unisce sempre l’angolano Bastos. Questione di Black Power e soprattutto di musica. Stereo in spalla e volume al massimo.

GLI SPAGNOLI – Affinità di carattere con i brasilia- ni, ma Keita, Patric e Luis Alberto fanno gruppo a sé. I primi due han- no legato tantissimo e sono insepa- rabili. Basta farsi un giro sui social per leggere una pioggia di “herma- no”, “amigo”. Luis Alberto è entrato gradualmente in questo triangolo fatto di musica, moda e locali di ten- denza.

I RAGAZZI DELL’EST – Sono i meno espansivi. Poche parole ma ben calibrate, hanno la scorza dura. Questione di dna, forgiato da anni difficili. La guerra l’hanno vissuta in pochi. Forse nessuno in prima persona, ma i racconti delle famiglie sono tatuaggi indelebili sulle loro pelli. C’è il tenente Milinkovic, idolo indiscusso dei tifosi. Sa di essere un top player e non fa nulla per nasconderlo. Del clan fanno parte Basta, Vargic e il neo acquisto Marusic. Parlano sempre nella loro lingua, anche per non farsi capire dagli altri. Divertentissimi i siparietti con Sergej che provava ad in- segnare l’italiano ad Adam.

PAESI BASSI – Anche loro sono poco espansivi. Il freddo del nord caratterizza il ca- rattere. Rocciosi e lottatori. Gli orange de Vrij, Hoedt e Kishna hanno adottato il belga Lukaku. E poi ci sono i più giovani con il graduato Murgia, Lombardi, Guerrieri, Oikonomidis, Crecco Palombi e Rossi. Ridono e scherzano con tutti, spes- so sono il bersaglio degli scherzi dei più grandi. Come al militare. Nazionalità diverse che la domenica scendono in campo per un mondo che ha una sola bandiera: quella biancoceleste.

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