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Manfredini: “I buu? Una moda da stadio. Per strada nessun insulto”
LA STAMPA (G. Buc.) – Intervista a Manfredini, che si dice dispiaciuto per l’immagine negativa che il razzismo sugli spalti da alla Lazio…
RASSEGNA STAMPA SS LAZIO – L’edizione odierna de La Stampa presenta un’intervista all’ex-biancoceleste Christian Manfredini, che dice la sua sugli episodi di razzismo nella Curva Nord biancoceleste. Questa l’intervista completa:
Christian Manfredini, quante volte nei suoi otto anni alla Lazio (101 presenze) le è capitato di ascoltare la curva Nord indirizzare cori razzisti agli avversari di colore?
«Molte, troppe. E ogni volta mi dicevo ci risiamo…».
Appunto. Ci risiamo.
«È vero. Ma è altrettanto vero che dai primi Anni 90 le cose sono cambiate, anche se non lo si deve alle misure adottate dalle istituzioni: l’Italia non è un paese razzista, diciamo che non è ancora abituato alla diversità di colore, ma lo sta diventando. Fra dieci, vent’anni le classi a scuola saranno sempre più aperte e, allora, il processo sarà compiuto».
Intanto negli stadi…
«Quella dei “buu” negli stadi è una moda. Spero non lo diventi anche quella di abbandonare il campo tirando il pallone in tribuna: che senso ha andarsene davanti ad un insulto del genere? E quando ti urlano devi morire?».
Quale strada, allora, si sente di indicare?
«Stiamo parlando di dieci, venti, cento che si comportano così. Io ho vissuto anche una realtà come quella di Verona: nessuno, per strada, mi ha mai insultato».
Quindi, qual’è la via da seguire?
«Ho sempre cercato di non dare troppo risalto a situazioni del genere. È un fatto di mancanza di cultura che, sono convinto, il tempo sanerà».
Le è mai capitato che un avversario di colore le chiedesse di far smettere i suoi tifosi?
«No, a me no. Ma ho giocato in squadra, ad esempio, con Dabo o Mudingayi: loro soffrivano molto più di me quando la nostra curva prendeva di mira per lo stesso colore della pelle chi ci stava davanti».
Roma sembra diventata la piazza della follia.
«Ma non è solo Roma, anzi. Purtroppo cori o cose simili avvengono un po’ ovunque: penso a Livorno o, appunto, alla stessa Verona. Questa moda avrà fine e lo avrà, diciamo, in maniera naturale non appena i nostri figli vivranno in una comunità multietnica come accade da anni all’estero».
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