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RASSEGNA STAMPA. Pia Sundhage: l’allenatrice che canta e divulga calcio
La persona che ha più influenzato il calcio moderno che è legata ai colori biancocelesti della Lazio,..
Una storia particolare coinvolge il simbolo del calcio femminile che ha trasformato uno sport e l’ha reso popolare e tra i più seguiti negli Usa, il più importante a livello femminile. E’ la storia di una ragazza, oggi donna che all’età di 52 anni è la persona che ha più influenzato il calcio moderno che è legata ai colori biancocelesti della Lazio, avendo giocato con la squadra capitolina. E’ la storia di Pia Sundhage.
Leggera la storia raccontata da it.eurosport.yahoo.comrende omaggio a chi ha scritto una pagina importante dello sport più bello del mondo.
“Forse non tutti sanno che lunedì scorso, nella cerimonia di consegna del Pallone d’Oro che si è tenuta alla Kongresshaus di Zurigo, era presente anche una delle persone che ha maggiormente influenzato il calcio moderno dell’ultimo mezzo secolo. Non è Leo Messi, non sono nemmeno Iniesta e Cristiano Ronaldo e no… non è neppure Del Bosque.
La persona cui mi riferisco è una signora 52enne svedese che si chiama Pia Sundhage: nata in Svezia da genitori di profonda fede cristiana, Pia, che di secondo nome fa Mariane, cresce nella cittadina di Ulrichehamn e si appassiona al calcio. A 13 anni è semiprofessionista, a 15 fa il suo esordio in Nazionale, a 17 diventa professionista e inizia una carriera che la porterà a essere per 18 anni la giocatrice simbolo del suo paese, un autentico monumento e una colonna della sua nazionale.
Nel frattempo studia per quella che diventerà sua cultura enciclopedica: psicologia, sociologia, storia, letteratura e tre lingue oltre alla propria. Gira il mondo con la Nazionale: poi decide di conoscere meglio l’Italia e si trasferisce per un anno a Roma, giocando nella Lazio. Sarà la sua unica esperienza all’estero da giocatrice: 17 gol, molti libri e diversi corsi completati con successo (teologia, storia dell’arte). La sua carriera agonistica finisce nel 1996 quando quella tecnica è già cominciata: nell’Hammarby quando ha appeso le scarpette al chiodo è già vice allenatore da quattro anni.
Lavora molto con i club ma soprattutto con il settore giovanile, il suo metodo è semplice: il calcio è un gioco. Dunque per prima cosa se si gioca ci si deve divertire. Non fa mistero della sua omosessualità della quale, più che orgogliosa, è consapevole, senza ostentazioni finalizzate allo show. Ne parla perché se ne parli e per dare l’occasione ad altre ragazze di uscire dal guscio.
Un po’ hippie e un po’ guru, Pia Sundhage ha una passione maniacale per la musica folk e i cantautori americani: ascolta Neil Young, Springsteen, Joan Baez e Bob Dylan. Impara a suonare la chitarra e durante i suoi allenamenti una canzoncina ci scappa sempre, magari per spiegare o motivare le sue scelte al gruppo e ai singoli… La leggenda racconta che per tranquillizzare Alex Morgan, ragazza di 22 anni che due anni fa era entrata in una profonda crisi di identità e aveva pensato di lasciare il calcio, l’abbia chiusa nello spogliatoio suonandole “Me Myself I”, splendido brano della cantante inglese Joan Armatrading nel quale una donna offre come affermazione di sé le proprie debolezze. Alex oggi è una delle tre giocatrici più forti del mondo.
Alle prese con una trasformazione epocale che vede college e high-school invasi da richieste per squadre di calcio femminile, spesso senza metodo né programma, gli USA le chiedono di prendere la guida tecnica della nazionale: lei accetta e comincia a girare come una trottola campus e palestre spiegando i valori del calcio e l’ecletticità del calcio femminile. Ho assistito a una delle sue numerose conferenze in una facoltà e sono rimasto incantato da questa donna di cultura immensa, così semplice e schietta, così spontanea e solare: “Noi siamo chimica – diceva – le nostre relazioni funzionano sulla base di una reazione chimica, sempre unica, sempre diversa. Io non combino mai gli elementi di una formula volatile e complessa come una squadra di calcio, cerco sempre di metterli in armonia tra loro. È evidente che gli uomini sono più forti delle donne, non ammetterlo è puerile e non molto onesto; ma noi donne abbiamo più chimica”.
Tra un talk show e un convegno, dove parla di sport, calcio, giovani, omosessualità e musica, imbracciando di tanto in tanto la sua chitarra acustica, Pia diventa un testimonial di capacità e valore impressionante: in un paese come gli USA, nel quale il calcio è ancora considerato come lo sport femminile da destinare alle ragazze non abbastanza graziose o aggraziate per fare le cheerleader, le iscrizioni ai programmi di calcio triplicano e in alcuni paesi esplodono al punto da convincere scuole e high-school a inserire tra i numerosi programmi agonistici anche quello di calcio femminile. È il miracolo di un paese che pur non avendo un campionato professionistico di pallavolo vince le Olimpiadi e, nella stessa maniera, conquista anche due titoli olimpici femminili di calcio consecutivi, e un secondo posto al Mondiale.
Pia non guarda mai agli errori, detesta perdere tempo nel guardare e riguardare le cassette di come giocano le squadre avversarie: “Noi dobbiamo giocare il nostro calcio, l’analisi degli errori parte dal negativo. Nella vita io ho sempre guardato con ottimismo alle cose positive…”
A settembre l’addio: dopo quattro anni intensissimi, Pia vuole tornare a casa. Allenerà la nazionale svedese. Nel frattempo le sue giocatrici sono stelle di prima grandezza che hanno copertine, popolarità, una voce in capitolo: lei, vincendo il titolo di allenatrice dell’anno dal palco di Zurigo guarda Alex Morgan ed Abby Wambach, pallone d’oro del 2012, e intorna per loro una bellissima canzone di Bon Dylan, “If not for you”. La canzone parla di un uomo innamorato che spiega che senza la propria donna non riuscirebbe a nemmeno ad accendere la luce, a trovare la porta di casa. Sono tutti paludatissimi e in smoking e completo da sera: lei indossa una giacca sopra una t-shirt che sembra essere stata comprata sulla bancarella di un negozio di vestiti usati. Ma quelle poche frasi cantate a cappella, dichiarazione d’amore verso le giocatrici della propria squadra, senza le quali un’allenatrice non sarebbe mai né vincente né (forse) divulgatrice, risuona come un petardo… Uno schiaffo in faccia al mondo del calcio moderno che Del Bosque, altro uomo straordinario, raccoglie come un fiore per terra poco dopo dicendo… “noi allenatori siamo divulgatori prima che agonisti, non dobbiamo mai dimenticare che il nostro messaggio è semina per ottenere non vittorie ma valori di lealtà, rispetto e comportamento corretto in campo e nella vita”.
Altro che gli spot milionari sul fair play… questa è comunicazione credibile e sostenibile. Blatter alla fine ringrazierà: solo Del Bosque… chiaramente… Pia, così fuori dalle righe e dal coro è un testimonial scomodo anche per la Fifa. Pia, giustamente, se ne frega: anzi, secondo me ne è anche un filino orgogliosa.
A settembre, per la sua ultima partita giocata a Denver di fronte a 20mila persone la lunga compilation di Pia, che era cominciata nel 2007 con un classico di Bob Dylan “The Times They Are A-Changin’,” si conclude con “Leaving on a Jet Plane” e “The best” brano scritto per Bonnie Tyler che tutti conoscono nella versione di Tina Turner. Canzoni dedicate alle sue ragazze che ormai sono diventate grandi.
Ma negli spogliatoi dopo la vittoria per 6-2 sull’Australia a cantare per lei sono state le giocatrici: “You are the sunshine of my life”, di Stevie Wonder. E la leggenda racconta che è stata l’unica volta che Pia, che per tutti negli Usa oggi è Miss Sunshine, è stata vista piangere.
Oggi gli Stati Uniti hanno un movimento calcistico femminile di circa 6 milioni di praticanti. In cinque anni è quintuplicato…”
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