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SCALONI a cuore aperto: “Mai titolare ma ho sempre lottato per farmi trovare pronto e non dovermi vergognare. Ritiro? Amo troppo il calcio”
IL FATTO QUOTIDIANO – L’ex difensore biancoceleste consiglia le nuove generazioni: “I soldi non sono mai stati importanti per me. Oggi il mondo è cambiato moltissimo, ma i giovani devono capire che non sono superiori a nessuno”…
NOTIZIE SS LAZIO – “I soldi per me non sono stati mai il motore di niente. Né all’inizio, né ora. È difficile da spiegare, ma chi vive il calcio come me, dal campo non vorrebbe uscire mai. L’addio è un passaggio delicato e pericoloso. Devi rifletterci prima che ti sorprenda, arrivarci preparato, trovare un equilibrio. Capire che il pallone è importante, ma la realtà lo è molto di più. Conosco tanti amici che chiusi gli armadietti, tra una depressione e una domanda senza risposta, si sono persi. Ti illudi, ti senti immortale, pensi che la giostra giri in eterno. Invece il tempo corre. Gli anni passano veloci e non li trovi più”. Si apre così l’intervista de Il Fatto Quotidiano a Lionel SCALONI, ex difensore della LAZIO, oggi in forza all’ATALANTA. Una lunga chiacchierata nella quale il difensore di Rosario si apre e si mostra per quello che è: una persona umile, tanto in campo, quanto fuori. “Non sono mai stato titolare da nessuna parte, ma ho lottato per farmi trovare pronto e non dovermi vergognare”. Dopo un’estate fuori rosa trascorsa ad allenarsi con le giovanili: “Due volte al giorno per dimostrare a me stesso e agli altri di esserci ancora”, ha accettato di spalmare il contratto fino al 2015 decurtandosi l’ingaggio per la gioia di uno spogliatoio che lo adora e ne riconosce il ruolo di capitano aggiunto. Leo è stato reintegrato in squadra con generale stupore, è riemerso con le unghie ed è tornato ad essere protagonista in campo: “Non ero stanco di giocare e vorrei farlo ancora a lungo. Arriverà il momento in cui dovrò smettere, ma cosa accadrà non lo so. Allenare è affascinante, ma non dipenderà solo da me. Ci sono le occasioni e poi, su tutto, dominano i risultati. Bisogna vincere. Conosco le regole. Non me lamento”.
Una carriera trascorsa senza colpi di testa o “cassanate”: correttezza, lavoro e pochissime parole sono sempre stati i suoi valori fondamentali. I giovani lo ascoltano e lui li mette in guardia: “Quando iniziai, l’ambizione era comprare le scarpe a mio padre. Oggi scelgo tra 6 o 7 paia di scarpini a gara offerti dallo sponsor. Il nostro mondo è cambiato moltissimo. I ragazzi ottengono 3 anni di contratto, si illudono che la vita sia risolta e si sentano migliori e più importanti del lecito. Se capiscono che non sono superiori a nessuno, hanno già fatto un bel pezzo di strada. La fortuna può svanire in fretta, evaporare, voltarti le spalle. L’Atalanta è un modello e il vivaio qui è molto più che una scuola di calcio, ma quando vedo grandi talenti da coltivare, i De Luca e i Livaja, li martello comunque”. La conclusione è affidata ad un autoscatto ironico: “Quando consiglio i 20enni succede che mi rispondano ‘me l’hai già detto, Lio’. Forse sto invecchiando davvero o forse amo troppo quel che faccio“.
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