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Storia di una maglia: il peso della 10 e l’eredità che raccoglie Felipe Anderson
Il fascino e la storia del n.10 hanno accompagnato anche la storia della Lazio. Ora tocca al brasiliano dare nuova luce a questa maglia…
LAZIONEWS.EU – Dai un pallone ad un bambino, digli di chiudere gli occhi e di immaginarsi in un sogno a fare da grande il calciatore. Lui si vedrà con la maglia numero 10, quella del fuoriclasse assoluto, l’idolo delle folle, il giocatore più forte della squadra. Un numero che nel calcio ha da sempre un significato magico, dal sapore quasi sacro per questo gioco, che sapientemente un maestro come Arrigo Sacchi ha saputo definire come “la cosa più importante delle cose meno importanti”.
Nel calcio la maglia numero 10 è il patrimonio della tecnica individuale, della classe cristallina, del talento puro. Solo il miglior giocatore della squadra è degno di indossala: Pelè, Maradona, Messi, Baggio, Platini, Zico, Eusebio, Rivera, Zidane e tanti altri. Tutti i migliori nella storia di questo sport l’hanno portata in trionfo almeno una volta e la Lazio, società da sempre legata profondamente alla propria storia (con il culto quasi sacrale delle proprie origini) non fa eccezione.
Sono tanti i campioni biancocelesti che nel corso dei decenni l’hanno portata con onore: da chi, come Frustalupi e Laudrup, ne ha fatto il simbolo della classe per eccellenza, a chi, come Roberto Mancini, ne ha incarnato a pieno lo spirito del leader dentro e fuori dal campo. Passando poi per chi ha rappresentato quel tocco di genio e sregolatezza del fantasista come Paul Gascoigne e per chi, come Hernan Crespo, se l’è messa addosso con l’obiettivo di segnare gol a grappoli. Un fascino inestimabile, che ha coinvolto tanti altri ex laziali, (tra cui Protti, Winter, Cesar, Stankovic) rimasti nel cuore della gente, poi dalla seconda metà degli anni 2000, la crisi.
Chi indosserà la numero 10 non riuscirà più a scrivere pagine importanti nella storia di questa società. La rinascita del club, dopo aver solo assaporato il baratro del fallimento, ridimensiona tutto: obiettivi, speranze, sogni, fino alla lenta, ma inesorabile crescita. La rinascita, frutto del risanamento economico e dei sacrifici, va a coincidere con la stella di Mauro Zarate, un lampo di luce nell’anonimato della numero 10. Maurito fa di nuovo brillare una maglia che con gli anni si era eclissata dalle spalle di Bonanni (una vera e propria meteora del mondo Lazio) a quelle di Baronio (una buona carriera, ma non da “10”), senza dimenticare le tante stagioni in cui, quasi con timore, tutti l’avevano lasciata chiusa in un cassetto senza mai farla scendere in campo. Maurito l’ha fatta rivivere, prima di eclissarsi e di chiudere malamente l’avventura alla Lazio, passando il testimone ad Ederson, giocatore dalle qualità indiscutibili ma quasi mai decisivo nella Capitale.
Ora questa maglia sembra di nuovo pronta per brillare. Dopo la partenza del brasiliano si è aperto il totomaglia: chi la indosserà? Un nuovo acquisto o uno dei protagonisti della scorsa stagione? Si era capito, stavolta qualcuno l’avrebbe portata. Un giocatore speciale.
La risposta sembra essere arrivata direttamente dallo spogliatoio biancoceleste: il peso della 10 sarà tutto sulle spalle di Felipe Anderson, quel giocatore che più di tutti ha rappresentato l’estro, la fantasia, la classe e le giocate degne di un peso così grande. Un ragazzo che è riuscito nell’impresa di far innamorare di nuovo i bambini (e non solo) ad un calciatore della Lazio. E poco importa se “Pipe” ha impressionato il mondo del calcio con il n.7. Quella maglia, ad uno così non può che stare stretta. La prenderà Morrison, che ha ancora tanto da dimostrare alla Lazio e anche per lui non sarà di certo un impegno facile. I numeri e i dribbling del brasiliano invece, avranno un nuovo aspetto: lo stesso che lo ha lanciato ai tempi del Santos, quando appena maggiorenne ebbe il coraggio ed il carattere per chiedere ed ottenere la 10, la maglia di Pelè, il dio del calcio brasiliano. Stavolta possiamo dirlo: bentornata 10 biancoceleste, ora sei davvero addosso al fenomeno giusto.
Giorgio Marota
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