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Ecatombe infortuni in Serie A. La sfortuna non c’entra

NFORTUNI SERIE A TOZZI – La Lazio ha conosciuto il significato dell’espressione “ecatombe infortuni” in occasione della partita stregata…

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INFORTUNI SERIE A TOZZI – La Lazio ha conosciuto il significato dell’espressione “ecatombe infortuni” in occasione della partita stregata contro il Napoli, ma non è stato l’unico club di Serie A a dover affrontare situazioni d’emergenza. Basti pensare che al momento, nel nostro campionato, ci sono ben 63 calciatori fermi ai box e che, dopo di noi in Europa, c’è soltanto la Premier League con 48. ‘gianlucadimarzio.com’ ha contattato Claudio Tozzi, esperto di preparazione atletica sulla forza, autore del libro bestseller sull’allenamento ‘BIIOSystem’ e maestro di Tiberio Ancora, nutrizionista e personal trainer del Chelsea di Antonio Conte.

SFORTUNA – “Certo, quando l’avversario ti entra col piede a martello, quando sbatti la testa, allora lì c’è poco da fare. Ma questi sono da chiamare semplici incidenti di gioco, che tra l’altro capitano con meno frequenza nel corso di una stagione rispetto agli altri infortuni (dagli strappi ai crociati che saltano, passando per stiramenti e contusioni varie). Qui, invece, la componente della sfortuna non c’entra proprio nulla”, spiega Tozzi.

TROPPO ALLENAMENTO – “Gli infortuni dipendono dai troppi chilometri percorsi dai giocatori rispetto alla biologia umana. In particolare la miglior performance, farà strano leggerlo, si ottiene con molte meno ore di allenamento e con una maggiore intensità e qualità. Il tutto seguito e accompagnato da un adeguato recupero e riposo. Già, è proprio qui che casca l’asino: ci insegnano, dalle facoltà di Scienze Motorie fino ai corsi di Coverciano, che più ci alleniamo, più corriamo, più fatichiamo e più saremo performanti. In fondo tutta la Serie A fa così. Più lavori, meglio è, più correrai in settimana e meno infortuni avrai”.

LA REALTA’ – “E invece no, ma non lo dice Claudio Tozzi, lo dice la biologia umana: il corpo umano è un retaggio di milioni di anni di evoluzione in cui non ha mai corso tanto come i calciatori. Il nostro retaggio è fatto per raggiungere un massimo giornaliero di 10/15 chilometri al giorno, ma non di scatti, ma di camminata moderata. Questo per chiunque. E’ chiaro, poi, che ci sono delle persone con una maggiore resistenza delle altre”.

EVOLUZIONE – “A questo proposito faccio riferimento ad uno studio del 2013: ‘Gli atleti olimpici devono allenarsi come nel paleolitico?’ pubblicato sulla rivista ‘Sport Medicine’ (agosto 2013) e redatto in collaborazione tra le Università di scienze motorie di Brasilia (Brasile), La Coruña/Vigo/Leoia (Spagna) e Santiago del Cile (Cile). In pratica i ricercatori propongono il fatto che gli atleti hanno in comune che sono tutti homo sapiens e suggeriscono che gli adattamenti dell’allenamento sono potenziati se lo stimolo è molto simile al modello di attività degli antenati umani”.

LO STIIMOLO – “Era intenso e infrequente. Nello specifico è dimostrato che nel paleolitico l’uomo percorreva 10-15 km, con una stima di energia misurata di circa 3.000-5.000 kcal / giorno. Questo approccio è in accordo con recenti studi che hanno descritto un risultato migliore di allenamento nei soggetti che regolavano il loro carico di allenamento, a seconda dello stato del loro sistema nervoso autonomo”.

I CALCIATORI – “Normalmente in una partita un giocatore di movimento compie circa 7-13 km a partita. Ma le squadre di Serie A che fanno le coppe giocano anche tre partite a settimana, quindi un calciatore può fare 21-36 km a settimana, più tutti quelli percorsi in allenamento. In realtà non sarebbe nemmeno questo un gran problema, in quando all’epoca ci riposavamo per circa 7-15 giorni, il tempo di rigenerare mente, muscoli e articolazioni”.

IN ITALIA – “Nel calcio moderno sembra impossibile che ci si fermi forse anche solo per un giorno, figuriamoci una settimana o due. Nessuna squadra lo potrebbe fare, o forse sì se si allenasse principalmente col pallone. Provando tecnica, schemi, situazioni di gioco, tattica e posizioni in campo. Ah, c’è un altro concetto sottovalutato (nonostante sia di una banalità assurda): una partita di Serie A, ma anche di Terza Categoria come di Champions League, è già di per sé un allenamento. E anche bello intenso. Per questo è inspiegabile l’idea degli allenatori, in particolare dopo le sconfitte, di bacchettare i propri ragazzi con ulteriori sessioni fisiche”.

SEGNALI – “Dal lavoro atletico giornaliero, magari in doppia seduta, magari con i gradoni, contando le tre partite settimanali tra campionato-Coppe europee-Coppa Italia-amichevoli è ovvio che i km percorsi, fatti in prevalenza di scatti, senza mai riposare, possano solo provocare affaticamenti e traumi”.

INFORTUNI – “L’infortunio è il modo del nostro organismo per dirci che ci stiamo allenando troppo. Non potendo dircelo a voce, ‘manda’ il dolore a qualche muscolo e/o articolazione a comunicarcelo, quasi a farci capire: ‘adesso ti faccio fermare per forza cosi non insisti a correre ancora’. Nonostante tutte le prove, in pochi cercano di ascoltare il corpo dei giocatori, eppure sarebbe una scelta davvero vincente . Quella del duro lavoro sul campo, del lavoro fisico, è davvero una scusa ridicola”.

I PERSEGUITATI – Milik avrebbe bisogno di un lavoro specifico, differente. Probabilmente i suoi muscoli andrebbero rinforzati, magari le sue articolazioni andrebbero studiate a fondo. Una squadra non è un esercito di soldatini. Purtroppo c’è tanta superficialità. Tutti i giocatori, atleticamente parlando, si allenano allo stesso modo. Ci sono giocatori che nel corso di tutta la carriera non hanno mai avuto infortuni, altri che sono perseguitati. Muscoli deboli o deviazione della colonna vertebrale inficiano sull’angolo di appoggio delle ginocchia. Potrebbe essere il motivo dei problemi di Milik. O forse Arkadiusz è il ragazzo più sfortunato al mondo, ma non credo proprio. Il ginocchio sta sotto la coscia, se quest’ultima non è abbastanza muscolosa non lo protegge”.

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